Terrazzamenti: paesaggi tipici e risorsa per il suolo

I terrazzamenti sono una delle principali forme di adattamento alle difficili condizioni ambientali che si hanno in Italia, considerando che le montagne e le colline coprono circa il 78% del territorio nazionale italiano e che molte pianure nel secolo scorso risultavano inadatte per l’agricoltura perché ricoperte di paludi. 

Paesaggio terrazzato in Toscana

I paesaggi tipici della Toscana hanno assunto un valore storico, culturale, ambientale, sociale ed anche produttivo. Il paesaggio è considerato come una risorsa complessa, con una valenza culturale, sociale ed economica, che richiede una pianificazione strategica per lo sviluppo delle zone rurali.

Il 4,5% del territorio regionale è occupato da sistemi terrazzati prevalentemente a destinazione agricola (68%) rispetto ai territori boscati (23%); le superfici agricole ad oliveto (25%) sono risultate la categoria di copertura del suolo più rappresentativa.

Funzioni dei paesaggi terrazzati:

FAVORIRE L’ AGROBIODIVERSITÀ

AUMENTARE LA COMPLESSITÀ PAESAGGISTICA

CONTROLLARE IL DEFLUSSO E IMMAGAZZINARE ACQUA

Il terrazzamento può rimodellare direttamente la micro-topografia dei pendii e creare molti microbacini su tutte le pendenze o all’interno dei canali di pendenza.

Il terrazzamento fa si che la rugosità del suolo aumenti e che si riduca la connettività del flusso terrestre.

MIGLIORARE LA FERTILITÀ DEL SUOLO E LA SUA PRODUTTIVITÀ

La maggior parte dei nutrienti viene solubilizzata nell’acqua o associata alle particelle del suolo, il terrazzamento può migliorare direttamente lo stato dei nutrienti del suolo riducendo al minimo l’erosione dell’acqua, in particolare quando la pratica è abbinata all’irrigazione e al fertilizzante.

CONTROLLARE L’EROSIONE E FAVORIRE LA CONSERVAZIONE DEL SUOLO

Il terrazzamento può ridurre la mortalità delle piante, in particolare nelle regioni in cui le piogge sono scarse. La crescita delle piante può essere favorita dal terrazzamento man mano che l’acqua e i nutrienti diventano più disponibili. Il terrazzamento può indebolire notevolmente l’ erosione del deflusso delle acque piovane riducendo la velocità e la quantità totale del flusso terrestre.

AUMENTARE LA RESA DELLE COLTURE E GARANTIRE LA SICUREZZA ALIMENTARE

Il terrazzamento può immagazzinare un’abbondante acqua piovana e aumentare la disponibilità di umidità del suolo, nonché i nutrienti e la produttività del suolo, a beneficio della crescita delle piante. Il terrazzamento può mitigare la siccità facilitando la conservazione dell’umidità del suolo e accumulando sostanze nutritive per le colture, aumentando così il loro potenziale produttivo.

Ampi progetti di terrazzamento hanno ridisegnato notevolmente i paesaggi, aumentando la loro geo-diversità e attirando migliaia di visitatori ogni anno. Molte terrazze sono state identificate come patrimoni del “paesaggio culturale”, esprimendo l’armonia tra uomo e ambiente

(UNESCO, 2008). Alcuni di essi sono stati anche dichiarati patrimonio mondiale dell’UNESCO.
 

ABBANDONO 49%

Uno dei problemi chiave associati al terrazzamento è il loro abbandono, che rappresenta circa il 49% dei fallimenti. Tali abbandoni generalmente equivalgono alla mancanza di manutenzione, che può accelerare la formazione di vegetazione spontanea, calanchi, erosioni gravitazionali

e frane. Senza un’adeguata manutenzione, le varie forze naturali o quelle generate dall’uomo danneggeranno la struttura della terrazza.

GESTIONE INAPPROPRIATA 31%

La gestione inadeguata delle terrazze è la seconda causa dei danneggiamenti dei terrazzamenti. Una migliore gestione dovrebbe concentrarsi sulle parti più fragili delle terrazze. L’intensità dell’erosione sulle colonne montanti delle terrazze è maggiore di quella sui letti delle terrazze,

Mancanza di regolamento per quanto riguarda la progettazione delle terrazze

L’ analisi ha suggerito che la progettazione di scarsa qualità dei terrazzamenti si è classificata al terzo posto tra le ragioni dei fallimenti delle terrazze. Le prove indicano che il rapporto tra spessore e altezza è importante nel determinare la forza e la durata di una terrazza. Finora i fattori soggettivi hanno determinato in gran parte la struttura della terrazza, rendendo alcune terrazze soggette a gravi danni. Gli agricoltori locali o i loro appaltatori spesso determinano in modo casuale l’altezza e l’ubicazione delle terrazze in molti paesi. L’assenza di una legislazione ambientale in materia di terrazzamenti aggrava ulteriormente i rischi di cedimento delle terrazze, anche per le terrazze moderne.

Il suolo come risorsa preziosa per l’oliveto.

Abstract dell’intervento della dott/ssa Grazia Masciandaro, ricercatrice CNR-IRET, Pisa al seminario “Tutela della fertilità del suolo”, Pistoia, 26 Novembre 2019

 

Cos'è il suolo e come si compone

Il suolo, essendo una risorsa non rinnovabile sottoposta a un forte impatto antropico, rischia di perdere le sue funzioni essenziali che svolge nell’ambito degli ecosistemi terrestri e, più in generale, nell’ambito degli equilibri del pianeta. Il suolo è un sistema ecologico complesso in grado di filtrare gli inquinanti immessi dall’uomo e limitarne i danni salvaguardando le acque di falda, e fungendo da substrato di crescita per le piante. Queste funzioni sono essenziali per il funzionamento degli ecosistemi naturali e costituiscono una risorsa preziosa per la gestione sostenibile dei sistemi antropizzati.

Dal punto di vista della struttura, il suolo può essere considerato come un tessuto, formato da costituenti organici e minerali, con circolazione di aria ed acqua nei pori. È un sistema complesso in continuo divenire, in cui l’arrangiamento strutturale dei componenti determina una grande variabilità di suoli. Inoltre nel suolo vivono miliardi di microrganismi, che hanno concorso alla pedogenesi e concorrono a regolare la fertilità, conferendo al terreno i requisiti di supporto nutritivo idoneo alla vegetazione. 

Gli organismi del suolo sono gli agenti primari coinvolti nel funzionamento del ciclo dei nutrienti: essi regolano le dinamiche della materia organica presente nel suolo, sequestrano il carbonio presente nel terreno, regolano le emissioni di gas serra, modificano la struttura fisica del suolo e il suo regime idrico, aumentano l’efficienza dei processi di acquisizione dei nutrienti da parte delle piante, instaurando con esse relazioni mutualistiche.

La sostanza organica del suolo, caratterizzandosi per l’influenza che ha su tutti gli aspetti della vita del suolo, della sua evoluzione e degli organismi che nel terreno vivono e che per lui lavorano, rappresenta una componente di fondamentale importanza. Per sostanza organica si intende quell’insieme di residui di origine animale (mesofauna e microfauna non più vitali) e vegetale (radici, foglie, microflora) in differente stadio di evoluzione, contenuta nei terreni in percentuali che variano in funzione dell’accumulo e della velocità di mineralizzazione del materiale organico (generalmente varia tra 0.5% e 10%). 

La materia organica del suolo subisce processi di decomposizione dai quali si originano costituenti primari, non umici, e costituenti secondari detti sostanze umiche. Nel processo di formazione delle sostanze umiche la sostanza organica non viene solo degradata, grazie alla demolizione enzimatica, ma subisce un vero e proprio processo di riorganizzazione a partire da composti organici più o meno semplici, per dare origine a complessi molecolari scuri caratterizzati da stabilità chimica e biochimica e dalla presenza di gruppi funzionali.

Dal punto di vista fisico, la sostanza organica ha un ruolo determinante nella strutturazione del terreno in quanto i composti organici riescono, grazie alle loro caratteristiche colloidali ed alla bassa densità, a trattenere, in modo reversibile per le colture, una notevole quantità di acqua, impedendo che la stessa percoli in strati profondi. Inoltre, la sostanza organica contribuisce all’aggregazione delle particelle minerali, svolgendo un’azione equilibrante tra le componenti del suolo (aria, acqua e particelle solide) indispensabile per l’azione di contenimento dei fenomeni di erosione, compattamento e formazione di croste. 

Per quanto riguarda le proprietà chimiche, la sostanza organica agisce in modo diretto mettendo a disposizione alcuni elementi della fertilità attraverso la sua mineralizzazione e, in modo indiretto, esplicando proprietà chelanti di molti gruppi funzionali (carbossilici, carbonilici, ammidici). Altra importante funzione di tipo chimico riguarda la reazione del suolo: la decomposizione della sostanza organica determina la produzione di composti acidi che possono provocare la diminuzione del pH e ciò può risultare particolarmente utile nei terreni sub-alcalini ed alcalini. La sostanza organica porta, inoltre, ad un aumento della capacità di scambio cationico del terreno, grazie all’aumento dei siti con cariche negative in grado di adsorbire i cationi. In questo modo, una maggiore quantità di elementi nutritivi rimane più a lungo nella zona radicale e può essere utilizzata per tempi maggiori dalle piante. 

A livello biologico, la sostanza organica determina uno stimolo all’azione della microfauna e microflora consentendo uno sviluppo equilibrato degli organismi viventi nel terreno, essenziale sia per la creazione di condizioni ottimali per lo sviluppo dei vegetali, sia per la degradazione di composti organici, comprese numerose sostanze di sintesi derivanti da fonti d’inquinamento che potrebbero interferire negativamente sulla crescita delle piante. La sostanza organica svolge anche un ruolo importante nella protezione dell’attività enzimatica del suolo, in quanto la vita degli enzimi extracellulari, prodotti principalmente dai microrganismi, sarebbe estremamente limitata in assenza di un adeguato substrato organico. La sostanza organica costituisce, quindi, il substrato di crescita insostituibile per gli organismi edafici, ai quali fornisce energia e sostanze nutritive e la sua presenza nel suolo è necessaria affinché si compiano i cicli biogeochimici naturali degli elementi. 

 

Il ruolo delle piante

Anche le piante hanno un ruolo  determinante per la capacità vitale e la coerenza strutturale del suolo. Le piante sono la fonte di energia che consente a tutti gli organismi del suolo di vivere e di svolgere tutte le funzioni chimiche biologiche e meccaniche. Con le loro radici formano uno scheletro solido e forte su cui il suolo si ancora. Sempre con le radici riforniscono gli organismi di cibo e ossigeno fino in profondità, ricevendone in cambio sali minerali e acqua con i quali effettuare la sintesi di nuova sostanza organica. Con i residui vegetali coprono il suolo, rifornendo di cibo anche gli organismi in superficie: cibo che essi degraderanno, per rendere disponibili ad un nuovo ciclo le sostanze minerali ivi contenute. La rizodeposizione, processo di secrezione da parte dell’apparato radicale di materiale organico e inorganico (cellule, frammenti cellulari e essudati radicali) rappresenta uno dei principali processi con cui la pianta influenza la fertilità e la funzionalità del suolo. La secrezione nel suolo di essudati radicali ne modifica la composizione, apporta sostanze nutrienti per i microrganismi, e questo influenza la microflora, sia per quanto riguarda la biodiversità che la carica microbica. 

  1. La pianta influenza le caratteristiche del suolo con l’apporto di materia organica (tessuti morti, essudati radicali) e con l’escrezione di H+ 
  2. Le caratteristiche del suolo influenzano le attività fisiologiche della pianta e la disponibilità dei nutrienti
  3. La pianta fornisce energia ai microrganismi
  4. I microrganismi influenzano le attività fisiologiche della pianta e la disponibilità dei nutrienti
  5. I microrganismi modificano le caratteristiche del suolo
  6. Le caratteristiche del suolo modulano l’abbondanza e la diversità dei microrganismi

La simbiosi tra pianta e microorganismi permette, in genere, alla pianta di acquisire nuove funzioni sia metaboliche, come l’azotofissazione e la degradazione della cellulosa, che non metaboliche come la protezione da agenti chimici, fisici e biologici. Inoltre, tale simbiosi consente il maggior sviluppo delle radici della pianta e quindi l’aumentata estensione dell’apparato radicale, l’amplificata efficienza di assorbimento di nutrienti, ioni e acqua, oltre che la protezione dagli stress ambientali e dai patogeni. Le popolazioni microbiche sono da 5 a 100 volte più numerose nella rizosfera che nel resto del suolo. È evidente come la vita della pianta e il suo sviluppo siano imprescindibili dal legame con i microrganismi del suolo e come modificazioni dell’ambiente possano portare a modificazioni della microflora con possibili effetti sulla crescita e sulla salute della pianta.

La coltivazione intensiva, come la deforestazione finalizzata alla creazione di nuove terre coltivabili, sono pratiche dannose che contribuiscono alla desertificazione, alla perdita di biodiversità e alla diminuzione della componente organica. Inoltre, con lo sviluppo dell’agricoltura intensiva, si è diffusa una pesante dipendenza dai fertilizzanti chimici sintetici e dai pesticidi che rappresentano una fonte di inquinamento per il suolo e l’acqua.

 

La situazione attuale

In Italia, i due terzi dei suoli presentano problemi di degradazione che risultano più accentuati laddove è maggiore l’attività antropica, non solo di tipo agricolo ma anche derivante da una pianificazione urbanistica del territorio (aree urbane ed industriali con relative infrastrutture) che spesso non ha tenuto conto dell’impatto ambientale prodotto soprattutto sul suolo, con conseguente innesco di fenomeni degradativi, nella maggior parte dei casi molto evidenti.

L’importanza della copertura vegetale nella protezione del suolo dalla degradazione è stata chiaramente riconosciuta. Il suo contributo all’apporto di sostanza organica nel suolo e, quindi all’aumento della sua fertilità biologica, è risultato particolarmente importante nelle zone aride e semi-aride, dove il contenuto di sostanza organica è spesso basso e le condizioni climatiche ne determinano la continua perdita.

La coltivazione di piante di mandorlo è risultata un approccio ambientale adatto per il miglioramento fisico, chimico e biochimico di aree semi-aride degradate nel sud dell’Italia e della Spagna (caso studio progetto LIFE ALMOND PRO-SOIL – LIFE 05-E-000288). Le piante di mandorlo principalmente hanno influenzato le proprietà del suolo attraverso l’attivazione del ciclo biogeochimico dei nutrienti C, N e P e la stimolazione dell’attività microbica e della produzione degli enzimi idrolitici. Inoltre, la presenza delle radici ha aumentato la stabilità del terreno, riducendone l’erosività. Risultati simili sono stati ottenuti con altre specie vegetali, quali L. leucocephala e C. citriodora. Questi risultati possono essere, in parte, attribuiti a una quantità crescente di C organico totale dei suoli con piante rispetto ai controlli senza vegetazione. Anche le specie vegetali Pinus halepensis e Pistacia lentiscus hanno mostrato la capacità di migliorare le proprietà chimiche, fisiche e biologiche di suoli degradati in tre diverse aree pedoclimatiche (sud e nord dell’Italia e nord est della Spagna) (caso studio progetto LIFE BIOREM – LIFE11 ENV/IT/113).

 

Recuperare la fertilità

In suoli molto poveri di sostanza organica, il recupero della fertilità richiede l’aggiunta di sostanza organica esogena in modo da favorire lo sviluppo della vegetazione spontanea e l’adattamento delle piante selezionate. Alcune ricerche hanno osservato la migliore colonizzazione e crescita delle piante in terreni acidi semi-aridi a seguito dell’incorporazione di ammendanti organici. Gli autori hanno spiegato tale effetto con l’alcalinizzazione del suolo e l’aumento del contenuto di nutrienti. Un’altra interessante caratteristica del trattamento con materiale organico per lo sviluppo di copertura vegetale è che tali ammendanti riducono la densità apparente e aumentano la capacità del suolo di trattenere l’acqua (da 1,2 volte per i fanghi a 1,4 volte per il compost).

La rivegetazione rappresenta anche il sistema migliore per aumentare il sequestro di C in suoli agricoli degradati in Europa. Questo è supportato dai risultati di numerose pubblicazioni riguardanti la riconversione dei suoli agricoli a foresta secondaria. In suoli agricoli nel sud della Germania, l’adozione di un sistema di coltivazione non intensivo ha provocato, rispetto ai sistemi di agricoltura convenzionale, una notevole stimolazione del potenziale metabolico (attività deidrogenasi/carbonio idrosolubile) ed un aumento del carbonio umico e dell’attività degli enzimi idrolitici ad esso associati (caso studio progetto INDEX – STREP n. 505450).

Numerosi studi si propongono di individuare e diffondere nuove soluzioni adatte a migliorare la protezione e la gestione del suolo. Tra questi, il progetto LIFE ZEOWINE (LIFE17 ENV/IT/427) ha realizzato un nuovo ammendante per incrementare la fertilità dei suoli nel settore vitivinicolo. Tale fertilizzante è stato ottenuto combinando le proprietà della zeolite, il cui utilizzo nel recupero dei suoli e degli ambienti contaminati e degradati presenta ottime potenzialità in molti settori oltre che in agricoltura, con la sostanza organica stabile di un compost ottenuto su scala aziendale dal riutilizzo degli scarti di lavorazione delle uve, vinacce e raspi. I risultati attesi dell’applicazione di tale prodotto ai terreni vitati sono relativi al miglioramento complessivo della qualità dei suoli in termini di contenuto in sostanza organica, biodiversità, miglioramento delle condizioni idriche e strutturali, alla riduzione del contenuto in rame biodisponibile e dell’impatto totale delle emissioni di gas serra, ma anche all’incremento della qualità delle uve e dello stato di equilibrio fisiologico delle viti.

La biodiversità dell’olivo e le strategie di sostenibilità.

Estratto dell’intervento al seminario BIODIVERSITA’ DELL’OLIVO, 14 ottobre 2020, a cura del dott. CLAUDIO CANTINI, tecnologo IBE CNR Santa Paolina, Follonica.

Biodiversità in generale e dell’olivo

Il termine “biodiversità” è divenuto di uso comune dopo il vertice sulla terra tenuto a Rio de Janeiro nel lontano 1992. In quella occasione fu stabilita una strategia globale di “sviluppo sostenibile” adatta a soddisfare le nostre esigenze garantendo nel contempo un mondo sano e vitale da lasciare alle generazioni future e fu firmata la Convenzione sulla diversità biologica (CBD). Obiettivi degli accordi sottoscritti dagli Stati firmatari: la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile di questa, la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche.

 Il ruolo dell’agricoltura nella società, in quanto settore primario, è quello di fornire la disponibilità di prodotti alimentari sani, sicuri e diversificati ma a questo si accompagnano la tutela ambientale e paesaggistica, la conservazione della fertilità del suolo, il contrasto ai cambiamenti climatici, la produzione di energia rinnovabile, il presidio economico e occupazionale delle aree rurali.

Partendo da questi presupposti occorre affrontare il tema della biodiversità olivicola e del suo uso percependo una visione globale delle varie problematiche. Verranno fornite ai partecipanti diverse chiavi di lettura relative alle scelte complessive da fare in azienda prendendo in esame le attuali direzioni del comparto agroalimentare.

Un “mare” di varietà, un “mare” di regole, un “mare” di vincoli: come navigare senza farlo a vista

La scarsa propensione all’innovazione del settore olivicolo ha fatto sì che per decenni sia stata perseguito uno scarso rinnovo degli impianti, effettuato per lo più con varietà “antiche” o ben collaudate facendo trascurare sia numerose varietà locali, così esposte al rischio di estinzione, che ottime varietà riconosciute per le loro qualità.

La presenza di forti vincoli imposti da disciplinari di produzione (DOP, IGP) non ha aiutato il rinnovamento anzi ha “ingessato” da un certo punto di vista la situazione in una statica fotografia del territorio. Alcune varietà rappresentano in realtà un problema perché, sebbene tipiche e tradizionali, presentano caratteristiche svantaggiose per una moderna olivicoltura da reddito e non da “sopravvivenza”. 

Negli ultimi decenni sono state infine proposte nuove forme di olivicoltura intensiva o super intensiva con l’idea di rinnovare il comparto e renderlo più competitivo e produttivo basate su alcune varietà a bassa vigoria.

Per l’imprenditore agricolo si pone quindi il dilemma di quale olivicoltura adottare: andare incontro alla massima modernità, cambiare tutto introducendo nuove cultivar oppure utilizzare il germoplasma locale? La Toscana in questo rappresenta una Regione all’avanguardia in materia: a partire dal 1997 ha messo in funzione un sistema di tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario (attuale legge regionale 64/04). Molte sono le varietà olivicole iscritte al Repertorio regionale, legate alle tradizioni produttive e storiche locali, espressione del patrimonio culturale agrario del nostro territorio. 

Identificazione delle varietà in campo ed esame delle caratteristiche morfologiche

Riconoscere le varietà di olivo non è semplice perché a livello morfologico molti caratteri sono poco differenziati. Alcune piante hanno delle peculiarità che le rendono facilmente distinguibili; per molte altre solo una grande esperienza rende possibile un’identificazione e la certezza viene soltanto da un’analisi effettuata in laboratorio indirizzata all’esame del DNA, ovvero la componente genetica molto più stabile rispetto alla morfologica, invece influenzata dalle variabili ambientali.

Biodiversità olivicola e vivaismo

Una delle problematiche che l’imprenditore deve affrontare in seguito alla scelta varietale è anche quella dell’acquisto delle piante. Il settore vivaistico, come tutto il resto del comparto olivicolo, si muove con lentezza ed è molto conservativo salvo poi inseguire le mode del momento che di volta in volta lanciano questa o quella varietà. Come districarsi nell’offerta delle piante e come davvero andare a scegliere varietà, sistema di produzione della pianta età e quale certificazione richiedere? Quali devono essere davvero le scelte in termini di numero di varietà diverse da inserire nell’impianto, ed esistono davvero varietà impollinatrici che possono essere utilizzate con miglioramento effettivo della produttività dell’oliveto? Quali varietà impollinatrici scegliere in funzione dell’ambiente di coltivazione? Queste le tematiche da affrontare dove la pluviometria rappresenta uno dei punti da valutare con attenzione.

L’inerbimento migliora le proprietà del suolo dell’oliveto

PESCIA

Di Giovanni Caruso e Riccardo Gucci.

La presenza di un prato permanente nell’oliveto protegge il suolo dai fenomeni erosivi, aumenta la capacità di conservazione dell’acqua e mantiene la fertilità. Insomma è una pratica utile per oliveti in produzione.

Ancora oggi la pratica più comune di gestione del suolo negli oliveti è la lavorazione periodica, tipicamente un’erpicatura o fresatura, che elimina le infestanti e consente di ridurre l’evaporazione dell’acqua del suolo, aumentando la rugosità della superficie. Tuttavia, la lavorazione convenzionale comporta molti effetti indesiderati sulle proprietà fisiche, chimiche e biologiche del suolo e ne può peggiorare la struttura e fertilità.

L’uso di coperture vegetali è attualmente consigliato per proteggere il suolo nella gestione dell’oliveto, così come avviene anche in altre tipologie di frutteto. La presenza di una copertura viva non solo ha effetti benefici sulle proprietà del suolo, ma determina anche una migliore fertilità biochimica e maggiore biomassa e diversità microbica rispetto ai terreni lavorati. L’inerbimento permanente diminuisce l’erosione e la compattazione ed aumenta l’infiltrazione dell’acqua e l’accumulo di sostanza organica nel profilo. Tuttavia, un prato permanente su tutta la superficie del terreno compete con le radici degli alberi per l’acqua ed elementi nutritivi e può ridurre la crescita e la produttività degli alberi.

Inerbimento o lavorazione?

Il bilancio tra gli effetti benefici dell’inerbimento e quelli di competizione con la coltura può essere valutato solo sul lungo termine, pertanto gli studi di comparazione dei due sistemi di gestione del terreno, inerbimento e lavorazione, richiedono molti anni di sperimentazione. Tale tipo di sperimentazione è stata condotta in un oliveto (Olea europaea L. cv. Frantoio) ad alta densità (513 alberi/ha) piantato nel 2003 presso i campi sperimentali dell’Università di Pisa (Venturina, LI), dove sono state confrontate due tesi: LP, lavorazione periodica superficiale con erpice a coltelli; IP, inerbimento permanente sfalciato periodicamente.

Nel primo quadriennio dall’inizio della differenziazione della gestione del suolo (dal 3° al 6° anno dall’impianto) la produzione di frutti degli alberi su suolo inerbito è stata inferiore rispetto a quella della tesi lavorata. La presenza di una copertura vegetale in competizione con lo sviluppo degli alberi ha ridotto il volume della chioma nella tesi inerbita e, conseguentemente, anche il numero di frutti portati dagli alberi. Tuttavia, l’efficienza produttiva, cioè la produzione ad albero rapportata alle sue dimensioni (espressa come area della sezione trasversale del fusto), non è stata diversa tra le due tesi di gestione del suolo. In particolare, gli alberi della tesi inerbita hanno presentato un’efficienza produttiva compresa tra l’80 e il 120% rispetto a quella della tesi sottoposta a lavorazione periodica. Inoltre, sono state osservate differenze sui frutti degli alberi su suolo lavorato che avevano minori dimensioni e un leggero ritardo di maturazione rispetto ai frutti degli alberi della tesi inerbita. Per quanto concerne la qualità dell’olio non sono state riscontrate differenze significative tra le due tesi per l’acidità libera, il numero di perossidi, le costanti spettrofotometriche degli oli prodotti, e le concentrazioni di polifenoli totali e orto-difenoli.

Le consociazioni, una necessità ambientale ed economica

consaciazione olivi e polli

Oggi assistiamo ad una nuova tendenza rispetto alla specializzazione colturale protagonista dell’ultimo secolo. Il recupero delle tecniche di consociazione e dell’utilizzo foraggero dell’oliveto rispondono alle nuove esigenze ambientali e di reddito.

La coltivazione dell’olivo è antichissima e sin dall’inizio gli olivi erano consociati ai seminativi e al pascolo. La consociazione, permettendo di produrre più alimenti e materiali dallo stesso terreno, rispondeva meglio della coltura specializzata alle esigenze dell’agricoltore, rivolte per lo più all’autosufficienza. Per questo la consociazione è rimasta prevalente per millenni, sino al secolo scorso.

Nel secolo scorso, però, l’agricoltura è cambiata tanto radicalmente quanto velocemente, sia dal punto di vista tecnico che socio-economico, con calo degli addetti in agricoltura e produzione sempre più rivolta al mercato e non più all’autoconsumo. Anche l’oliveto si è specializzato sempre di più e questo trend è cresciuto velocemente fino ad oggi. Ci sono però ragioni per ritenere che questo trend possa cominciare ad invertirsi.

Consociazione e utilizzo foraggero

Polli nell’oliveto: concimando e diserbando naturalmente, riducono l’impatto ambientale della coltivazione dell’olivo.

La consociazione dell’oliveto con altre colture e/o allevamenti può portare a produrre di più con meno risorse, se queste diverse produzioni sono complementari tra loro in termini di uso delle risorse naturali. Naturalmente non tutte le consociazioni sono possibili o convenienti e vanno studiate consociazioni compatibili dal punto di vista tecnico, così come dal punto di vista ambientale ed economico. Non si possono semplicemente ripescare le pratiche del passato. È difficile immaginare che si torni a coltivare il grano nell’oliveto: la competizione tra le due colture sarebbe troppo forte con i sesti di impianto dei moderni oliveti e non ci sarebbe spazio sufficiente per la mietitrebbia. Vanno studiate nuove forme di consociazione compatibili con i moderni oliveti, con le attuali possibilità di mercato e con le condizioni socio-economiche correnti […].

L’utilizzo di vegetazione, spontanea o coltivata, come foraggio, calibrando lo sfalcio anche in funzione dell’andamento stagionale, potrebbe ridurre il problema della competizione per l’acqua. L’utilizzo foraggero dell’oliveto, quindi, è probabilmente una delle pratiche più promettenti. Tanto più che gli erbivori in genere (ovini, caprini, bovini, ma anche equini e conigli) appetiscono non solo l’erba che cresce nell’oliveto, ma anche foglie e rametti provenienti dalla potatura, oltre che la sansa esausta e denocciolata.

Un nuovo gruppo Facebook per gli olivicoltori toscani

Pescia, vista su Santa Margherita

Finalmente è online il nuovo gruppo Facebook dedicato all’olivicoltura in Toscana. Un luogo virtuale in cui si possono riunire e confrontare gli olivicoltori, gli agronomi e gli amatori.

Un gruppo d’informazione dedicato allo sviluppo sostenibile dell’olivicoltura tradizionale e marginale toscana. Un luogo di confronto sulle pratiche agronomiche più adatte ai cambiamenti che ci attendono, nel rispetto degli inevitabili vincoli ambientali e normativi e dei nuovi trend di mercato.

FB: Olivicoltura toscana, professionalità e sostenibilità

Bignami della potatura di fruttificazione dell’olivo

L’obiettivo della potatura è quello di ottenere abbondanti produzioni in proporzione alle dimensioni dell’olivo, rinnovare la superficie fruttificante, mantenere la struttura scheletrica secondo la forma di allevamento impostata, consentire la penetrazione della luce in tutta la chioma e contenerne le dimensioni.

I rami produttivi.

Il tipico ramo a frutto dell’olivo comprende una parte terminale vegetativa sviluppatasi nella stagione corrente e una parte più vecchia, sul legno di un anno, dove avvengono la fioritura e la fruttificazione. Dato che nell’olivo l’allegagione è bassa, intorno al 3%, la produzione di frutti per ciascun ramo è direttamente proporzionale al numero di infiorescenze presenti; tanto maggiore è il numero di nodi nella parte terminale del ramo a frutto, tante più infiorescenze si ottengono nell’anno successivo.

La crescita vegetativa nella parte distale dei rami fruttiferi produce i nodi necessari per la fioritura dell’anno successivo. Quindi, per ciascun ramo a frutto, le risorse devono essere distribuite  sia per la produzione dell’anno in corso che per la crescita vegetativa della parte distale, necessaria per la produzione nell’anno successivo.

Consideriamo che una branca fruttifera sviluppa la sua massima produttività al terzo anno, poi rallenta la sua crescita e si esaurisce. I rami a frutto devono essere quindi rinnovati con la potatura. Un segno dell’esaurimento dei rami a frutto è quando vediamo un gruppetto di foglie all’apice di una lunga porzione di legno nudo.

Penetrazione della luce

La luce è il fattore che guida la fotosintesi, per produrre carboidrati le foglie hanno bisogno di luce. I tagli devono essere orientati a alleggerire la parte superiore della chioma consentendo una buona penetrazione della luce nella porzione basale.

Le parti alte della chioma ricevono maggiori quantità di luce rispetto a quelle inferiori, con la potatura dobbiamo far penetrare la luca anche nelle zone meno illuminate. Essa proviene maggiormente dall’alto e dalla parte del sole, quindi chiome mantenute nella parte alta molto folte e per più anni determinano un impoverimento nutrizionale della parte basale; questo è il motivo per cui spesso troviamo olivi spogli o privi di vegetazione nella parte bassa della chioma. Si deve quindi potare per alleggerire la vegetazione in alto in modo da favorire la penetrazione della radiazione luminosa in tutte le zone della chioma. Le branche fruttifere in esaurimento dovranno essere potate, in tutto o in parte a seconda del loro vigore, tenendo anche conto della loro posizione rispetto alle altre e naturalmente dell’illuminazione. Ciò non significa lasciare ampi spazi vuoti: l’olivo è una pianta ad andamento cespuglioso, quindi la vegetazione fitta è una sua caratteristica e va mantenuta. Bisogna potare l’olivo quanto basta per rinnovare le branche fruttifere esaurite e per fargli ricevere la maggior quantità di luce possibile.