In questo pdf sono esposti sinteticamente gli stadi della crescita della pianta di olivo.
Le varie cultivar
Terrazzamenti: paesaggi tipici e risorsa per il suolo
Il suolo come risorsa preziosa per l’oliveto.
La biodiversità dell’olivo e le strategie di sostenibilità.
L’inerbimento migliora le proprietà del suolo dell’oliveto
Di Giovanni Caruso e Riccardo Gucci.
La presenza di un prato permanente nell’oliveto protegge il suolo dai fenomeni erosivi, aumenta la capacità di conservazione dell’acqua e mantiene la fertilità. Insomma è una pratica utile per oliveti in produzione.
Ancora oggi la pratica più comune di gestione del suolo negli oliveti è la lavorazione periodica, tipicamente un’erpicatura o fresatura, che elimina le infestanti e consente di ridurre l’evaporazione dell’acqua del suolo, aumentando la rugosità della superficie. Tuttavia, la lavorazione convenzionale comporta molti effetti indesiderati sulle proprietà fisiche, chimiche e biologiche del suolo e ne può peggiorare la struttura e fertilità.
L’uso di coperture vegetali è attualmente consigliato per proteggere il suolo nella gestione dell’oliveto, così come avviene anche in altre tipologie di frutteto. La presenza di una copertura viva non solo ha effetti benefici sulle proprietà del suolo, ma determina anche una migliore fertilità biochimica e maggiore biomassa e diversità microbica rispetto ai terreni lavorati. L’inerbimento permanente diminuisce l’erosione e la compattazione ed aumenta l’infiltrazione dell’acqua e l’accumulo di sostanza organica nel profilo. Tuttavia, un prato permanente su tutta la superficie del terreno compete con le radici degli alberi per l’acqua ed elementi nutritivi e può ridurre la crescita e la produttività degli alberi.
Inerbimento o lavorazione?
Il bilancio tra gli effetti benefici dell’inerbimento e quelli di competizione con la coltura può essere valutato solo sul lungo termine, pertanto gli studi di comparazione dei due sistemi di gestione del terreno, inerbimento e lavorazione, richiedono molti anni di sperimentazione. Tale tipo di sperimentazione è stata condotta in un oliveto (Olea europaea L. cv. Frantoio) ad alta densità (513 alberi/ha) piantato nel 2003 presso i campi sperimentali dell’Università di Pisa (Venturina, LI), dove sono state confrontate due tesi: LP, lavorazione periodica superficiale con erpice a coltelli; IP, inerbimento permanente sfalciato periodicamente.
Nel primo quadriennio dall’inizio della differenziazione della gestione del suolo (dal 3° al 6° anno dall’impianto) la produzione di frutti degli alberi su suolo inerbito è stata inferiore rispetto a quella della tesi lavorata. La presenza di una copertura vegetale in competizione con lo sviluppo degli alberi ha ridotto il volume della chioma nella tesi inerbita e, conseguentemente, anche il numero di frutti portati dagli alberi. Tuttavia, l’efficienza produttiva, cioè la produzione ad albero rapportata alle sue dimensioni (espressa come area della sezione trasversale del fusto), non è stata diversa tra le due tesi di gestione del suolo. In particolare, gli alberi della tesi inerbita hanno presentato un’efficienza produttiva compresa tra l’80 e il 120% rispetto a quella della tesi sottoposta a lavorazione periodica. Inoltre, sono state osservate differenze sui frutti degli alberi su suolo lavorato che avevano minori dimensioni e un leggero ritardo di maturazione rispetto ai frutti degli alberi della tesi inerbita. Per quanto concerne la qualità dell’olio non sono state riscontrate differenze significative tra le due tesi per l’acidità libera, il numero di perossidi, le costanti spettrofotometriche degli oli prodotti, e le concentrazioni di polifenoli totali e orto-difenoli.
Le consociazioni, una necessità ambientale ed economica
Oggi assistiamo ad una nuova tendenza rispetto alla specializzazione colturale protagonista dell’ultimo secolo. Il recupero delle tecniche di consociazione e dell’utilizzo foraggero dell’oliveto rispondono alle nuove esigenze ambientali e di reddito.
La coltivazione dell’olivo è antichissima e sin dall’inizio gli olivi erano consociati ai seminativi e al pascolo. La consociazione, permettendo di produrre più alimenti e materiali dallo stesso terreno, rispondeva meglio della coltura specializzata alle esigenze dell’agricoltore, rivolte per lo più all’autosufficienza. Per questo la consociazione è rimasta prevalente per millenni, sino al secolo scorso.
Nel secolo scorso, però, l’agricoltura è cambiata tanto radicalmente quanto velocemente, sia dal punto di vista tecnico che socio-economico, con calo degli addetti in agricoltura e produzione sempre più rivolta al mercato e non più all’autoconsumo. Anche l’oliveto si è specializzato sempre di più e questo trend è cresciuto velocemente fino ad oggi. Ci sono però ragioni per ritenere che questo trend possa cominciare ad invertirsi.
Consociazione e utilizzo foraggero
Polli nell’oliveto: concimando e diserbando naturalmente, riducono l’impatto ambientale della coltivazione dell’olivo.
La consociazione dell’oliveto con altre colture e/o allevamenti può portare a produrre di più con meno risorse, se queste diverse produzioni sono complementari tra loro in termini di uso delle risorse naturali. Naturalmente non tutte le consociazioni sono possibili o convenienti e vanno studiate consociazioni compatibili dal punto di vista tecnico, così come dal punto di vista ambientale ed economico. Non si possono semplicemente ripescare le pratiche del passato. È difficile immaginare che si torni a coltivare il grano nell’oliveto: la competizione tra le due colture sarebbe troppo forte con i sesti di impianto dei moderni oliveti e non ci sarebbe spazio sufficiente per la mietitrebbia. Vanno studiate nuove forme di consociazione compatibili con i moderni oliveti, con le attuali possibilità di mercato e con le condizioni socio-economiche correnti […].
L’utilizzo di vegetazione, spontanea o coltivata, come foraggio, calibrando lo sfalcio anche in funzione dell’andamento stagionale, potrebbe ridurre il problema della competizione per l’acqua. L’utilizzo foraggero dell’oliveto, quindi, è probabilmente una delle pratiche più promettenti. Tanto più che gli erbivori in genere (ovini, caprini, bovini, ma anche equini e conigli) appetiscono non solo l’erba che cresce nell’oliveto, ma anche foglie e rametti provenienti dalla potatura, oltre che la sansa esausta e denocciolata.
Un nuovo gruppo Facebook per gli olivicoltori toscani
Finalmente è online il nuovo gruppo Facebook dedicato all’olivicoltura in Toscana. Un luogo virtuale in cui si possono riunire e confrontare gli olivicoltori, gli agronomi e gli amatori.
Un gruppo d’informazione dedicato allo sviluppo sostenibile dell’olivicoltura tradizionale e marginale toscana. Un luogo di confronto sulle pratiche agronomiche più adatte ai cambiamenti che ci attendono, nel rispetto degli inevitabili vincoli ambientali e normativi e dei nuovi trend di mercato.
Bignami della potatura di fruttificazione dell’olivo
L’obiettivo della potatura è quello di ottenere abbondanti produzioni in proporzione alle dimensioni dell’olivo, rinnovare la superficie fruttificante, mantenere la struttura scheletrica secondo la forma di allevamento impostata, consentire la penetrazione della luce in tutta la chioma e contenerne le dimensioni.
I rami produttivi.
Il tipico ramo a frutto dell’olivo comprende una parte terminale vegetativa sviluppatasi nella stagione corrente e una parte più vecchia, sul legno di un anno, dove avvengono la fioritura e la fruttificazione. Dato che nell’olivo l’allegagione è bassa, intorno al 3%, la produzione di frutti per ciascun ramo è direttamente proporzionale al numero di infiorescenze presenti; tanto maggiore è il numero di nodi nella parte terminale del ramo a frutto, tante più infiorescenze si ottengono nell’anno successivo.
La crescita vegetativa nella parte distale dei rami fruttiferi produce i nodi necessari per la fioritura dell’anno successivo. Quindi, per ciascun ramo a frutto, le risorse devono essere distribuite sia per la produzione dell’anno in corso che per la crescita vegetativa della parte distale, necessaria per la produzione nell’anno successivo.
Consideriamo che una branca fruttifera sviluppa la sua massima produttività al terzo anno, poi rallenta la sua crescita e si esaurisce. I rami a frutto devono essere quindi rinnovati con la potatura. Un segno dell’esaurimento dei rami a frutto è quando vediamo un gruppetto di foglie all’apice di una lunga porzione di legno nudo.
Penetrazione della luce
La luce è il fattore che guida la fotosintesi, per produrre carboidrati le foglie hanno bisogno di luce. I tagli devono essere orientati a alleggerire la parte superiore della chioma consentendo una buona penetrazione della luce nella porzione basale.
Le parti alte della chioma ricevono maggiori quantità di luce rispetto a quelle inferiori, con la potatura dobbiamo far penetrare la luca anche nelle zone meno illuminate. Essa proviene maggiormente dall’alto e dalla parte del sole, quindi chiome mantenute nella parte alta molto folte e per più anni determinano un impoverimento nutrizionale della parte basale; questo è il motivo per cui spesso troviamo olivi spogli o privi di vegetazione nella parte bassa della chioma. Si deve quindi potare per alleggerire la vegetazione in alto in modo da favorire la penetrazione della radiazione luminosa in tutte le zone della chioma. Le branche fruttifere in esaurimento dovranno essere potate, in tutto o in parte a seconda del loro vigore, tenendo anche conto della loro posizione rispetto alle altre e naturalmente dell’illuminazione. Ciò non significa lasciare ampi spazi vuoti: l’olivo è una pianta ad andamento cespuglioso, quindi la vegetazione fitta è una sua caratteristica e va mantenuta. Bisogna potare l’olivo quanto basta per rinnovare le branche fruttifere esaurite e per fargli ricevere la maggior quantità di luce possibile.