Come aumentare la sostanza organica nell’oliveto

Risultati di una ricerca volta a valutare gli effetti di due diverse modalità di gestione dell’oliveto, finalizzate alla conservazione o al reintegro della sostanza organica (s.o.) nel terreno. 

La prima basata sull’adozione di tecniche conservative alternative alle lavorazioni: un sistema di gestione sostenibile (inerbimento spontaneo, trinciatura del materiale di potatura, mulching) a confronto con quello convenzionale (lavorazioni superficiali, allontanamento del materiale di potatura). 

La seconda volta a valutare gli effetti di differenti apporti di s.o. proveniente da sottoprodotti della filiera olivicola.

Al seguente link puoi scaricare l’articolo completo:
https://www.academia.edu/18491329/Olivicoltura_sostenibile_e_gestione_del_suolo

Le alternative al rame

I metalli pesanti non sono soggetti a ulteriori degradazioni nell’ambiente, e anche il rame rientra in questa categoria. 

Questo metallo è utilizzato soprattutto in viticoltura (ma non solo) per il controllo della peronospora, ed il suo uso a dosi elevate nel tempo ne determina un progressivo accumulo all’interno del suolo con particolare riferimento ad aree a vocazione vitivinicola. 

Un agricoltore che voglia coltivare nel rispetto dell’ambiente dovrà applicare strategie e metodi di controllo per ridurre l’uso dei sali di rame, anche tramite il ricorso a sostanze alternative. 

Il rame viene impiegato in agricoltura come antifungino, ed il suo uso è autorizzato anche in agricoltura biologica. In agricoltura biodinamica il suo impiego non è consentito sulle colture orticole, ma è ammesso in frutticoltura e viticoltura in caso di necessità; rientra infatti nei prodotti ammessi solo per colture speciali e permanenti, e per piante ornamentali. Il dosaggio non dovrà comunque essere superiore ai 3 kg di rame metallo per ettaro all’anno (ogni formulato commerciale contiene una percentuale variabile di rame metallo, in base al tipo di prodotto). 

I 3 kg/ha/anno vanno calcolati nella media di un arco di tempo di 5 anni usando preferibilmente al massimo 500 gr. per ogni trattamento. Nell’arco di un quinquennio non dovranno essere superati i 15 kg/ha/anno, nel caso vi sia un’annata sfavorevole (disciplinare Demeter). Si tratta di un basso dosaggio. 

I prodotti rameici devono essere utilizzati in via preventiva, in relazione ai momenti critici determinati da temperature, umidità relativa e piovosità. Mentre per ottimizzare efficacia e quantitativi sarà opportuno utilizzare attrezzature idonee ed efficienti: occorre nebulizzare il getto in maniera adeguata per poter garantire una buona copertura della foglia (sopra e sotto) e della vegetazione.

 Durante i trattamenti sarà fondamentale evitare il punto di gocciolamento dovuto ad un accumulo eccessivo di liquido sulla foglia; questo accumulo potrà determinare la caduta a terra del liquido con conseguente spreco del prodotto, favorendo anche e soprattutto il bioaccumulo del metallo nel terreno. A tal proposito è consigliabile l’uso di appositi ugelli antideriva per effettuare i vari trattamenti. Mentre una stesura omogenea sulla foglia fornisce risultati migliori garantendo una copertura ottimale, completa ed uniforme.

Questo vale comunque per ogni tipologia di trattamento fogliare. 

Un uso eccessivo e sconsiderato di questo metallo può portare ad una serie di problematiche non indifferenti, depositandosi nei primi strati di terreno con ripercussioni negative per la vita microbica e lo sviluppo di batteri, funghi e lombrichi, determinando anche una selezione dei lieviti. Il rame è di fatto un metallo pesante ed il suo accumulo nel suolo può avere conseguenze negative, come evidenziato anche da Stefania Tegli, ricercatrice del Dipartimento di scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente dell’Università di Firenze:

Il rame che viene utilizzato come antiparassitario tende in pratica ad accumularsi nell’ambiente, in particolare nel suolo. E, dal terreno, può raggiungere e inquinare le falde acquifere, determinando gravissimi rischi ambientali ed ecotossicologici su un ampio spettro di organismi e microrganismi”. Oltre a questo inconveniente, spiega Tegli, vi è un ulteriore rischio: “Il rame determina un aumento allarmante, nella microflora degli agroecosistemi, della percentuale di batteri resistenti agli antibiotici, che finiscono col costituire una sorta di serbatoio di geni per l’antibiotico-resistenza. Questi geni sono presenti su elementi mobili del loro genoma, i plasmidi, che possono essere trasmessi con facilità anche ai batteri patogeni di uomo e animali, rendendoli così a loro volta resistenti agli antibiotici e vanificandone di fatto l’azione profilattica e terapeutica in medicina umana e veterinaria”. 

Uno dei settori maggiormente interessati è senza dubbio la viticoltura, per quanto riguarda il controllo della peronospora, nella quale il rame viene utilizzato da circa 130 anni. 

Altro problema riguarda la mancanza di vitalità e di attività biologica di molti terreni,

privi di humus e sostanza organica, i quali non sono più in grado metabolizzare e degradare eventuali molecole nocive (ovviamente sempre entro certi limiti). Questa azione di filtro e bonifica da parte del suolo è data anche dalla presenza della flora. Un terreno sano e vitale copre un ruolo ecologico molto importante, arrivando a svolgere la funzione di vero e proprio “organo”. 

Il rame è comunque un metallo pesante ed è difficile da degradare; per questo sono in corso attività di ricerca per poter individuare strategie e sostanze alternative al suo uso. Non è cosa semplice sostituire il rame poiché rimane (tra i vari rimedi ammessi in agricoltura biologica e biodinamica) quello più efficace. Non è cosa semplice, ma non impossibile. È comunque possibile limitarne i quantitativi. 

Elevate concentrazioni di rame all’interno del terreno potrebbero altresì generare fenomeni di tossicità su alcune colture, soprattutto in suoli leggeri e acidi. Questo fenomeno è quasi nullo, invece, in presenza di colloidi umici (humus) grazie al sequestro del metallo, ed anche in terreni argillosi e calcarei. In questi terreni il rame rimane bloccato grazie alla presenza di sostanza organica umificata che immobilizza il metallo. 

Rimedi

La riduzione dei quantitativi di rame si ottiene indiscutibilmente attraverso l’applicazione di una buona agronomia complessiva di base. 

Ciò è valido per tutte le colture interessate (e non). In agricoltura biodinamica vanno applicati rimedi che siano a favore degli equilibri, evitando quei rimedi pensati invece contro un problema (insetti-cida, fungi-cida, anti-parassitario ecc.), creati per eliminare, debellare, distruggere. 

La resistenza delle piante alle malattie è condizionata principalmente da fattori ambientali e agronomici. Sicuramente quello che è l’andamento climatico e stagionale può condizionare fortemente la pressione di una malattia fungina (temperature, umidità, piovosità). Anche la collocazione di un terreno ha una notevole rilevanza in questo senso (esposizione, ventosità, aerazione, luminosità). 

  1. a) Il primo elemento da considerare è senza dubbio il terreno. La qualità del suolo, la sua fertilità, la sua vitalità, la sua struttura (così come la biodiversità ipogea) sono fattori centrali per il sano sviluppo di una pianta. La capacità drenante di un terreno rappresenta un fattore determinante poiché i ristagni favoriscono le varie malattie fungine. Lo stesso inerbimento sotto questo aspetto, per quanto riguarda le colture arboree, rappresenta un vantaggio. Un efficace copertura erbacea previene il ristagno idrico (l’altezza della vegetazione dovrà rimanere bassa). Andrà dunque favorito il drenaggio. A tal proposito sono da evitare passaggi ripetuti e frequenti con macchine pesanti, soprattutto su terreno umido e bagnato. Ciò determina compattamento e asfissia con conseguenze negative per la fertilità e la vitalità del suolo. Sono da privilegiare macchine leggere utilizzate in maniera appropriata. 
  2. b) Una fertilizzazione corretta ed equilibrata favorisce la qualità della linfa delle piante, stimolando le naturali autodifese ed una buona formazione dei tessuti. Le migliori opzioni sono (da impiegare in base alle possibilità o necessità): compost biodinamico ben trasformato, sovesci plurispecie, humus di lombrico. Senza mai dimenticare i preparati biodinamici, ed in particolar modo il 501 a base di Silicio. Il Silicio stimola la formazione dell’acido ialuronico incrementando le naturali autodifese. Tramite il Silicio è auspicabile un indurimento dei tessuti vegetali con aumento della resistenza agli attacchi parassitari. Viceversa l’uso di concimazioni azotate spinte determina una eccessiva vigoria delle piante con conseguente indebolimento delle pareti cellulari, arrivando a limitare le naturali capacità di difesa. Un eccesso di vigoria può essere determinato anche da abbondante disponibilità idrica. Proprio le malattie fungine sono favorite da tessuti poco sviluppati o non lignificati correttamente (più appetibili ai patogeni). Dunque la resistenza delle pareti cellulari è determinante, e questa resistenza potrà essere garantita da un ottimale equilibrio vegeto-produttivo. Inoltre una eccessiva disponibilità di sostanze azotate (non elaborate) riduce nei vegetali la produzione di polifenoli. 
  1. c) Tramite l’applicazione di potature sensate è possibile migliorare lo stato fitosanitario della pianta. Decisivo sarà il microclima all’interno della chioma che dovrà permettere la circolazione dell’aria ed un ottimale ingresso della luce. Ombreggiamento e umidità, invece, potranno favorire la formazione di patologie. Anche il sesto d’impianto dovrà garantire una adeguata circolazione dell’aria e permettere l’ingresso della luce solare. Le potature verdi possono offrire ottimi vantaggi, così come un corretto diradamento. 
  2. d) Sarà necessario utilizzare Varietà e Cultivar idonee al clima e all’ambiente di coltivazione. 

Per quanto riguarda le sostanze alternative al rame (che possono permettere di ridurne i dosaggi) è possibile utilizzare vari rimedi. Di seguito alcuni di questi. 

Bentotamnio (500-600 grammi per ettolitro).

È un prodotto a granulometria fine (polvere) costituito da bentonite, alghe litotamnio e farina di roccia potassica. Si tratta di un corroborante potenziatore delle difese naturali dei vegetali. La bentonite è un’argilla di origine vulcanica costituita principalmente da Ossido di Silicio, Alluminio (fillosilicati) e da micronutrienti naturali. Mentre le alghe litotamnio apportano Carbonato di calcio, Magnesio e numerosi microelementi di origine marina. Oltre a migliorare lo sviluppo dei vegetali il bentotamnio crea una barriera protettiva sulla superficie fogliare utile nella prevenzione di crittogame e fitofagi. 

Pròpoli

Per uso agricolo di qualità. L’efficacia e la validità della Pròpoli dipende dalla sua qualità. 

Decotto di Equiseto (Equisetum arvense).

Grazie al contenuto di Silicio e sali solforici rinforza la pianta e previene le micosi. Eventualmente utilizzare Equiseto raccolto nel proprio territorio nel mese di giugno; è possibile conservare tramite essiccazione. Lo si può miscelare insieme ad altri componenti come microrganismi naturali, zeolite e caolino in modo da creare valide sinergie ed esaltarne le caratteristiche. 

Estratto di alghe Laminaria digitata (Laminarina). 

Tra i vari estratti vegetali quello di Laminaria sta dando i risultati più incoraggianti. Si tratta di induttori naturali di sistemi di difesa, in grado di favorire la resistenza delle piante contro avversità di natura biotica e abiotica. Le Alghe Brune sono ricche di sostanze attive, e vengono impiegate da secoli in agricoltura per via delle loro proprietà. 

La composizione ricca e complessa le rende ottime alleate delle piante, non solo per l’apporto di elementi nutritivi: grazie a diversi meccanismi d’azione influiscono positivamente sulle attività di sviluppo dei vegetali. L’uso delle Alghe Brune migliora la capacità delle piante di resistere agli stress agendo da biostimolante. Viene stimolata la produzione di fitoalessine (metaboliti antimicrobici) a vantaggio delle difese naturali. Tra i generi più importanti figurano Laminaria, Macrocystis e Ascophyllum. A seconda delle diverse colture può variare epoca e dose di applicazione. Possono offrire benefici in occasione dei “momenti chiave” nella formazione e nello sviluppo di una coltura (trapianto, ripresa vegetativa, pre-fioritura, allegagione, post-allegagione, ingrossamento frutti, invaiatura, post-raccolta). Ovviamente saranno da valutare le reali esigenze e le necessità della singola coltura, evitando interventi non necessari. 

Zeolitite (chabasite).

Questo minerale è in grado di creare una valida barriera protettiva sulla superficie del vegetale in modo da prevenire gli attacchi fungini. Il formulato in polvere micronizzata si usa in dose di 5-6 kg per ettaro in acqua (solitamente 500 lt/ha). Il quantitativo di acqua varia in base all’efficienza degli irroratori. La sua efficacia diviene maggiore in sinergia con altri componenti come l’estratto concentrato dei semi di Pompelmo e microrganismi naturali (tipo EM). Applicazioni preventive e ripetute ogni 3 settimane circa, anche in base all’andamento climatico. 

Caolino.

Grazie alla sua singolare conformazione, anche questa polvere minerale svolge un’azione antagonista sullo sviluppo delle patologie fungine. I dosaggi variano dai 2,5 ai 4 kg per ettolitro. Il volume per ettaro varia sulla base della densità fogliare in funzione delle dimensioni della coltura, e dipende anche da caratteristiche ed efficienza degli irroratori. 

Le applicazione andranno fatte in via preventiva e ripetute ogni 20 giorni circa durante tutto il periodo critico in modo da garantire la migliore copertura della vegetazione. Il suo impiego risulta ancor più efficiente in combinazione con decotto di Equiseto ed estratto concentrato di semi di Pompelmo. Per quest’ultimo sarà da valutare la compatibilità dei vari formulati commerciali (2,5-3 kg di caolino per 100 litri). 

Silicato di potassio

Potrebbe essere utilizzato anche il silicato di potassio (formulato conforme ai Regolamenti per l’Agricoltura Biologica). Al massimo 2 kg per ettolitro. 

Oli essenziali (sperimentale).

Tra cui olio essenziale di limone e olio essenziale di pompelmo. È importante utilizzare oli essenziali di qualità e di provenienza garantita (da agricoltura biologica o biodinamica). 

Semi di Pompelmo.

Risulta particolarmente valido l’estratto concentrato dei semi di Pompelmo (da non confondere con l’olio essenziale) che può essere utilizzato da solo oppure in miscela con altri componenti come zeolitite e microrganismi naturali. Oppure insieme ad altri estratti vegetali. 

Microrganismi

Sono in corso anche attività di ricerca per testare l’efficacia di vari microrganismi naturali e consorzi microbiologici per inibire lo sviluppo di funghi patogeni tramite l’attivazione delle autodifese oppure tramite un’azione antagonista diretta nei confronti del patogeno. 

Tutti questi rimedi andranno utilizzati in via preventiva garantendo la copertura durante i momenti critici. 

Bicarbonato di potassio (dai 500 agli 800 grammi per ettolitro).

Ha un’azione preventiva sullo sviluppo delle spore fungine. Va evitato l’uso ripetuto durante la stagione estiva. 

Latte.

In zone favorevoli alla viticoltura vi sono agricoltori che impiegano il latte con ottimi risultati sul controllo della peronospora. Si tratterà di utilizzare latte fresco appena munto di provenienza biologica o biodinamica. La condizione dell’animale sarà fondamentale (benessere, stato di salute, corretta nutrizione, assenza di antibiotici e farmaci etc.). Indicativamente occorrono 10 litri di latte per 200 litri d’acqua ad ettaro. Il latte ovviamente non dovrà subire pastorizzazione. 

Omeopatia.

Altra via percorribile come alternativa al rame, o per ridurne i dosaggi, potrebbe essere quella dell’omeopatia applicata all’agricoltura. Le prime esperienze in Italia relative all’applicazione dell’omeopatia per la cura delle piante risalgono al 1984, grazie al Dr. Luca Speciani, presso la Facoltà di Agraria di Milano. Dal 2001 ha dato inizio a queste ricerche anche la Professoressa Lucietta Betti presso la Facoltà di Agraria di Bologna; in questo studio sono stati osservati effetti significativi. Si tratta tuttavia ancora di un approccio sperimentale ma comunque di notevole rilievo (agro-omeopatia). 

Altre esperienze a livello internazionale sono quelle dell’omeopata olandese V.D. Kaviraj in Australia e in India oppure del Prof. Radko Tichavsky. Ma un contributo essenziale per la nascita e lo sviluppo di questa disciplina fu quello di Eugene e Lilly Kolisko. 

Cornosilice-zolfo, Cornoargilla, Cornosilice-equiseto.

È possibile impiegare anche alcuni preparati di nuova generazione i quali svolgono un’azione corroborante nei confronti della pianta. Questi nuovi preparati non sostituiscono quelli tradizionali: si tratta di Cornosilice-zolfo, Cornoargilla, Cornosilice-equiseto. Il primo stimola la formazione di proteine complesse, zuccheri e polifenoli, mentre il Cornoargilla favorisce l’equilibrio complessivo della pianta nel suo rapporto con il suolo a favore dell’equilibrio vegeto-produttivo. Ciò permette di resistere meglio a diverse forme di stress, stimolando i processi vitali, a vantaggio delle difese naturali. Il Cornosilice-equiseto svolge un’azione di contenimento nei confronti di alcuni funghi patogeni del suolo. Quest’ultimo preparato, grazie al Silicio, migliora la condizione dei tessuti vegetali con particolare riferimento alla cuticola. La cuticola, grazie alle cere da cui è costituita, svolge principalmente una funzione protettiva ed il suo spessore può variare in base al clima e alle pratiche agronomiche. 

Il rispetto dei punti sopra citati (a, b, c, d) è determinante al fine di garantire l’efficacia di questi preparati, che andranno utilizzati correttamente e al momento opportuno (in base a tipo di coltura, fase fenologica e andamento stagionale). La prevenzione rappresenta una priorità. 

I vari rimedi andranno altresì impiegati preventivamente sulla comparsa delle micosi anticipando i momenti critici. A tal proposito si rende fondamentale il monitoraggio dei parametri ambientali e climatici. 

 

Una malattia è considerata una deviazione dallo stato di armonia nello svolgimento delle funzioni vitali dell’organismo” Goidànich (1955) 

L’agricoltore ha il compito di badare a che il processo naturale si svolga nel giusto modo

Steiner (1924) 

Silicio.

Rudolf Steiner già nel 1924 suggerì l’uso del Silicio nella sua forma minerale (quarzo, ortoclasi, feldspati) e nella sua forma organica (Equisetum arvense, detto anche Equiseto o Coda cavallina) per via delle caratteristiche uniche. È presente naturalmente nelle argille e nelle sabbie, ed è uno degli elementi più abbondanti sulla crosta terrestre. Goethe, in merito alle sue proprietà, lo definì “luce condensata”. Non a caso è utilizzato nella realizzazione della fibra ottica, nei pannelli fotovoltaici e nei circuiti elettronici. Si tratta di un elemento che ha una notevole affinità con le forze della luce. 

Sempre Steiner lo definì anche “l’architetto della luce” per la capacità di ottimizzare la gestione della luce da parte dei vegetali. Consigliò l’uso del preparato 501 per garantire ai vegetali un armonico sviluppo delle parti aeree, una buona maturazione dei frutti e la prevenzione delle malattie fungine (il 501 è polare al preparato 500 che invece agisce sul terreno e sull’apparato radicale). 

Solo in epoca recente, però, la ricerca agronomica ha evidenziato i molteplici ruoli svolti da questo elemento nelle sue varie forme, soprattutto per quanto riguarda la formazione dell’epidermide e la costituzione dei tessuti vegetali. Un’epidermide omogenea e ben strutturata funge da barriera protettiva nei confronti dei patogeni.

Vi sono numerose prove che dimostrano come il Silicio possa limitare gli effetti negativi di svariati stress di natura biotica e abiotica (Epstein, 1994; Liang et al., 1996; Epstein, 1999; Liang et al., 1999; Liang & Ding, 2002; Ma, 2004). Lo stesso Silicio può fungere da “barriera meccanica” protettiva (Cheng et al, 1989). 

Si assiste inoltre ad un generale miglioramento delle qualità organolettiche

Si riportano anche alcuni dati relativi all’incontro “Siliforce day” – Silicio: qualità nelle produzioni agricole (Bologna, 24 marzo 2009). Alessandra Trinchera, CRA-RPS Roma. 

– Il Silicio migliora la “struttura” delle fibre vegetali. 

– Il Silicio sembra prevenire diverse carenze nutrizionali e limitare la tossicità di alcuni metalli. 

– Spray fogliari a base di Silicio hanno portato benefici in termini di riduzione delle parassitosi su colture in campo. 

– Il Silicio può essere accumulato dalla pianta nel sito di infezione da funghi, al fine di combattere la penetrazione della parete cellulare da parte del fungo attaccante. 

– Incrementa la qualità, la conservabilità e la resistenza al danneggiamento delle produzioni. 

(Sonobe et al., 2009; Coté-Beliaeu et al., 2009) 

Fabio Fioravanti

Micorrize

Cosa sono le micorrize e qual è la loro utilità.

Le micorrize sono un complesso strutturale e funzionale costituito dal micelio di un fungo vivente. 

Esso è in simbiosi con le radici o i rizomi di diverse piante arboree o erbacee, per mezzo del quale queste ricevono acqua e sali assorbiti dal terreno, cedendo a loro volta al fungo i carboidrati da esse elaborati. 

Le micorrize si estendono per mezzo delle ife, cioè i filamenti che formano il micelio, ovvero il corpo vegetativo dei funghi, nella porzione di suolo che circonda le radici delle piante (rizosfera), da cui assorbono i nutrienti essenziali e l’acqua necessaria per crescere e nel terreno circostante.

Le piante micorrizate si presentano spesso più competitive e più tolleranti nei confronti degli stress ambientali rispetto alle piante non micorrizate.
Come? Esse acquiscono i nutrienti presenti in forme normalmente non disponibili per le piante (ad esempio azoto nei composti organici); abbattono i composti fenolici e metalli tossici nel suolo; proteggono dagli stress idrici; danno protezione nei confronti di funghi parassiti e nematodi; danno benefici non nutrizionali come la produzione di fitormoni; accumulano nutrienti; costituiscono di reti nutrizionali (anche a supporto per i semenzali), fornito dalle reti di ife; trasferiscono i nutrienti dalle piante morte a quelle vive.

A livello di ecosistema, tutto questo si traduce in un’importante influenza sulle popolazioni microbiche della rizosfera, tramite modifiche qualitative e quantitative degli essudati radicali e sulla struttura del suolo, che viene migliorata.
Le micorrize rappresentano il tipo di simbiosi di gran lunga più diffuso in natura: si stima infatti che circa il 90% degli alberi che crescono in foreste temperate partecipi a questo tipo di associazioni. Si trovano
praticamente in qualsiasi ecosistema terrestre.
Spesso nei suoli coltivati la presenza di mocorrize è bassa; ciò può essere dovuto alle eccessive lavorazioni del terreno, all’uso di concimi chimici di sintesi ed erbicidi, all’insufficiente copertura del suolo, allo scarso contenuto di sostanza organica stabile nel terreno.

Qual è allora il sistema più efficace per ricostituire questa simbiosi naturale?

La nostra comprensione delle relazioni micorriziche è ancora incompleta ed è ancora oggetto di studio; oggi comunque conosciamo alcuni dei fattori ambientali necessari per l’inoculazione di successo.
I funghi micorrizici sono aerobi, il che significa che sono attivi quando è presente una quantità sufficiente di ossigeno, quindi possiamo privilegiare ogni pratica che riduca il compattamento del terreno e favorire di la coesistenza di specie vegetali adatte insieme alla nostra coltivazione, per esempio l’inerbimento permanente controllato. Inoltre le specie micorriziche sono anche decompositrici di materiale legnoso.

Vi sono prove crescenti della necessità di un pacciame legnoso naturale per l’insediamento delle micorrize, come avviene nei boschi in modo lento e regolare; non segatura o corteccia bensì quello che viene comunemente chiamato legno cippato che, date le sue dimensioni, è facilmente aggredibile dai funghi e velocemente compostabile.

Le ife fungine colonizzano i detriti, estraggono i nutrienti e li trasportano alle radici del loro ospite. I trucioli di legno da arboricoltura sono un pacciame ideale in questo senso poiché assorbono l’acqua e forniscono un substrato ideale per lo sviluppo delle ife.


Fonti: Wikipedia, Gardenprofessors

Link utili

Terrazzamenti: paesaggi tipici e risorsa per il suolo

I terrazzamenti sono una delle principali forme di adattamento alle difficili condizioni ambientali che si hanno in Italia, considerando che le montagne e le colline coprono circa il 78% del territorio nazionale italiano e che molte pianure nel secolo scorso risultavano inadatte per l’agricoltura perché ricoperte di paludi. 

Paesaggio terrazzato in Toscana

I paesaggi tipici della Toscana hanno assunto un valore storico, culturale, ambientale, sociale ed anche produttivo. Il paesaggio è considerato come una risorsa complessa, con una valenza culturale, sociale ed economica, che richiede una pianificazione strategica per lo sviluppo delle zone rurali.

Il 4,5% del territorio regionale è occupato da sistemi terrazzati prevalentemente a destinazione agricola (68%) rispetto ai territori boscati (23%); le superfici agricole ad oliveto (25%) sono risultate la categoria di copertura del suolo più rappresentativa.

Funzioni dei paesaggi terrazzati:

FAVORIRE L’ AGROBIODIVERSITÀ

AUMENTARE LA COMPLESSITÀ PAESAGGISTICA

CONTROLLARE IL DEFLUSSO E IMMAGAZZINARE ACQUA

Il terrazzamento può rimodellare direttamente la micro-topografia dei pendii e creare molti microbacini su tutte le pendenze o all’interno dei canali di pendenza.

Il terrazzamento fa si che la rugosità del suolo aumenti e che si riduca la connettività del flusso terrestre.

MIGLIORARE LA FERTILITÀ DEL SUOLO E LA SUA PRODUTTIVITÀ

La maggior parte dei nutrienti viene solubilizzata nell’acqua o associata alle particelle del suolo, il terrazzamento può migliorare direttamente lo stato dei nutrienti del suolo riducendo al minimo l’erosione dell’acqua, in particolare quando la pratica è abbinata all’irrigazione e al fertilizzante.

CONTROLLARE L’EROSIONE E FAVORIRE LA CONSERVAZIONE DEL SUOLO

Il terrazzamento può ridurre la mortalità delle piante, in particolare nelle regioni in cui le piogge sono scarse. La crescita delle piante può essere favorita dal terrazzamento man mano che l’acqua e i nutrienti diventano più disponibili. Il terrazzamento può indebolire notevolmente l’ erosione del deflusso delle acque piovane riducendo la velocità e la quantità totale del flusso terrestre.

AUMENTARE LA RESA DELLE COLTURE E GARANTIRE LA SICUREZZA ALIMENTARE

Il terrazzamento può immagazzinare un’abbondante acqua piovana e aumentare la disponibilità di umidità del suolo, nonché i nutrienti e la produttività del suolo, a beneficio della crescita delle piante. Il terrazzamento può mitigare la siccità facilitando la conservazione dell’umidità del suolo e accumulando sostanze nutritive per le colture, aumentando così il loro potenziale produttivo.

Ampi progetti di terrazzamento hanno ridisegnato notevolmente i paesaggi, aumentando la loro geo-diversità e attirando migliaia di visitatori ogni anno. Molte terrazze sono state identificate come patrimoni del “paesaggio culturale”, esprimendo l’armonia tra uomo e ambiente

(UNESCO, 2008). Alcuni di essi sono stati anche dichiarati patrimonio mondiale dell’UNESCO.
 

ABBANDONO 49%

Uno dei problemi chiave associati al terrazzamento è il loro abbandono, che rappresenta circa il 49% dei fallimenti. Tali abbandoni generalmente equivalgono alla mancanza di manutenzione, che può accelerare la formazione di vegetazione spontanea, calanchi, erosioni gravitazionali

e frane. Senza un’adeguata manutenzione, le varie forze naturali o quelle generate dall’uomo danneggeranno la struttura della terrazza.

GESTIONE INAPPROPRIATA 31%

La gestione inadeguata delle terrazze è la seconda causa dei danneggiamenti dei terrazzamenti. Una migliore gestione dovrebbe concentrarsi sulle parti più fragili delle terrazze. L’intensità dell’erosione sulle colonne montanti delle terrazze è maggiore di quella sui letti delle terrazze,

Mancanza di regolamento per quanto riguarda la progettazione delle terrazze

L’ analisi ha suggerito che la progettazione di scarsa qualità dei terrazzamenti si è classificata al terzo posto tra le ragioni dei fallimenti delle terrazze. Le prove indicano che il rapporto tra spessore e altezza è importante nel determinare la forza e la durata di una terrazza. Finora i fattori soggettivi hanno determinato in gran parte la struttura della terrazza, rendendo alcune terrazze soggette a gravi danni. Gli agricoltori locali o i loro appaltatori spesso determinano in modo casuale l’altezza e l’ubicazione delle terrazze in molti paesi. L’assenza di una legislazione ambientale in materia di terrazzamenti aggrava ulteriormente i rischi di cedimento delle terrazze, anche per le terrazze moderne.

Il suolo come risorsa preziosa per l’oliveto.

Abstract dell’intervento della dott/ssa Grazia Masciandaro, ricercatrice CNR-IRET, Pisa al seminario “Tutela della fertilità del suolo”, Pistoia, 26 Novembre 2019

 

Cos'è il suolo e come si compone

Il suolo, essendo una risorsa non rinnovabile sottoposta a un forte impatto antropico, rischia di perdere le sue funzioni essenziali che svolge nell’ambito degli ecosistemi terrestri e, più in generale, nell’ambito degli equilibri del pianeta. Il suolo è un sistema ecologico complesso in grado di filtrare gli inquinanti immessi dall’uomo e limitarne i danni salvaguardando le acque di falda, e fungendo da substrato di crescita per le piante. Queste funzioni sono essenziali per il funzionamento degli ecosistemi naturali e costituiscono una risorsa preziosa per la gestione sostenibile dei sistemi antropizzati.

Dal punto di vista della struttura, il suolo può essere considerato come un tessuto, formato da costituenti organici e minerali, con circolazione di aria ed acqua nei pori. È un sistema complesso in continuo divenire, in cui l’arrangiamento strutturale dei componenti determina una grande variabilità di suoli. Inoltre nel suolo vivono miliardi di microrganismi, che hanno concorso alla pedogenesi e concorrono a regolare la fertilità, conferendo al terreno i requisiti di supporto nutritivo idoneo alla vegetazione. 

Gli organismi del suolo sono gli agenti primari coinvolti nel funzionamento del ciclo dei nutrienti: essi regolano le dinamiche della materia organica presente nel suolo, sequestrano il carbonio presente nel terreno, regolano le emissioni di gas serra, modificano la struttura fisica del suolo e il suo regime idrico, aumentano l’efficienza dei processi di acquisizione dei nutrienti da parte delle piante, instaurando con esse relazioni mutualistiche.

La sostanza organica del suolo, caratterizzandosi per l’influenza che ha su tutti gli aspetti della vita del suolo, della sua evoluzione e degli organismi che nel terreno vivono e che per lui lavorano, rappresenta una componente di fondamentale importanza. Per sostanza organica si intende quell’insieme di residui di origine animale (mesofauna e microfauna non più vitali) e vegetale (radici, foglie, microflora) in differente stadio di evoluzione, contenuta nei terreni in percentuali che variano in funzione dell’accumulo e della velocità di mineralizzazione del materiale organico (generalmente varia tra 0.5% e 10%). 

La materia organica del suolo subisce processi di decomposizione dai quali si originano costituenti primari, non umici, e costituenti secondari detti sostanze umiche. Nel processo di formazione delle sostanze umiche la sostanza organica non viene solo degradata, grazie alla demolizione enzimatica, ma subisce un vero e proprio processo di riorganizzazione a partire da composti organici più o meno semplici, per dare origine a complessi molecolari scuri caratterizzati da stabilità chimica e biochimica e dalla presenza di gruppi funzionali.

Dal punto di vista fisico, la sostanza organica ha un ruolo determinante nella strutturazione del terreno in quanto i composti organici riescono, grazie alle loro caratteristiche colloidali ed alla bassa densità, a trattenere, in modo reversibile per le colture, una notevole quantità di acqua, impedendo che la stessa percoli in strati profondi. Inoltre, la sostanza organica contribuisce all’aggregazione delle particelle minerali, svolgendo un’azione equilibrante tra le componenti del suolo (aria, acqua e particelle solide) indispensabile per l’azione di contenimento dei fenomeni di erosione, compattamento e formazione di croste. 

Per quanto riguarda le proprietà chimiche, la sostanza organica agisce in modo diretto mettendo a disposizione alcuni elementi della fertilità attraverso la sua mineralizzazione e, in modo indiretto, esplicando proprietà chelanti di molti gruppi funzionali (carbossilici, carbonilici, ammidici). Altra importante funzione di tipo chimico riguarda la reazione del suolo: la decomposizione della sostanza organica determina la produzione di composti acidi che possono provocare la diminuzione del pH e ciò può risultare particolarmente utile nei terreni sub-alcalini ed alcalini. La sostanza organica porta, inoltre, ad un aumento della capacità di scambio cationico del terreno, grazie all’aumento dei siti con cariche negative in grado di adsorbire i cationi. In questo modo, una maggiore quantità di elementi nutritivi rimane più a lungo nella zona radicale e può essere utilizzata per tempi maggiori dalle piante. 

A livello biologico, la sostanza organica determina uno stimolo all’azione della microfauna e microflora consentendo uno sviluppo equilibrato degli organismi viventi nel terreno, essenziale sia per la creazione di condizioni ottimali per lo sviluppo dei vegetali, sia per la degradazione di composti organici, comprese numerose sostanze di sintesi derivanti da fonti d’inquinamento che potrebbero interferire negativamente sulla crescita delle piante. La sostanza organica svolge anche un ruolo importante nella protezione dell’attività enzimatica del suolo, in quanto la vita degli enzimi extracellulari, prodotti principalmente dai microrganismi, sarebbe estremamente limitata in assenza di un adeguato substrato organico. La sostanza organica costituisce, quindi, il substrato di crescita insostituibile per gli organismi edafici, ai quali fornisce energia e sostanze nutritive e la sua presenza nel suolo è necessaria affinché si compiano i cicli biogeochimici naturali degli elementi. 

 

Il ruolo delle piante

Anche le piante hanno un ruolo  determinante per la capacità vitale e la coerenza strutturale del suolo. Le piante sono la fonte di energia che consente a tutti gli organismi del suolo di vivere e di svolgere tutte le funzioni chimiche biologiche e meccaniche. Con le loro radici formano uno scheletro solido e forte su cui il suolo si ancora. Sempre con le radici riforniscono gli organismi di cibo e ossigeno fino in profondità, ricevendone in cambio sali minerali e acqua con i quali effettuare la sintesi di nuova sostanza organica. Con i residui vegetali coprono il suolo, rifornendo di cibo anche gli organismi in superficie: cibo che essi degraderanno, per rendere disponibili ad un nuovo ciclo le sostanze minerali ivi contenute. La rizodeposizione, processo di secrezione da parte dell’apparato radicale di materiale organico e inorganico (cellule, frammenti cellulari e essudati radicali) rappresenta uno dei principali processi con cui la pianta influenza la fertilità e la funzionalità del suolo. La secrezione nel suolo di essudati radicali ne modifica la composizione, apporta sostanze nutrienti per i microrganismi, e questo influenza la microflora, sia per quanto riguarda la biodiversità che la carica microbica. 

  1. La pianta influenza le caratteristiche del suolo con l’apporto di materia organica (tessuti morti, essudati radicali) e con l’escrezione di H+ 
  2. Le caratteristiche del suolo influenzano le attività fisiologiche della pianta e la disponibilità dei nutrienti
  3. La pianta fornisce energia ai microrganismi
  4. I microrganismi influenzano le attività fisiologiche della pianta e la disponibilità dei nutrienti
  5. I microrganismi modificano le caratteristiche del suolo
  6. Le caratteristiche del suolo modulano l’abbondanza e la diversità dei microrganismi

La simbiosi tra pianta e microorganismi permette, in genere, alla pianta di acquisire nuove funzioni sia metaboliche, come l’azotofissazione e la degradazione della cellulosa, che non metaboliche come la protezione da agenti chimici, fisici e biologici. Inoltre, tale simbiosi consente il maggior sviluppo delle radici della pianta e quindi l’aumentata estensione dell’apparato radicale, l’amplificata efficienza di assorbimento di nutrienti, ioni e acqua, oltre che la protezione dagli stress ambientali e dai patogeni. Le popolazioni microbiche sono da 5 a 100 volte più numerose nella rizosfera che nel resto del suolo. È evidente come la vita della pianta e il suo sviluppo siano imprescindibili dal legame con i microrganismi del suolo e come modificazioni dell’ambiente possano portare a modificazioni della microflora con possibili effetti sulla crescita e sulla salute della pianta.

La coltivazione intensiva, come la deforestazione finalizzata alla creazione di nuove terre coltivabili, sono pratiche dannose che contribuiscono alla desertificazione, alla perdita di biodiversità e alla diminuzione della componente organica. Inoltre, con lo sviluppo dell’agricoltura intensiva, si è diffusa una pesante dipendenza dai fertilizzanti chimici sintetici e dai pesticidi che rappresentano una fonte di inquinamento per il suolo e l’acqua.

 

La situazione attuale

In Italia, i due terzi dei suoli presentano problemi di degradazione che risultano più accentuati laddove è maggiore l’attività antropica, non solo di tipo agricolo ma anche derivante da una pianificazione urbanistica del territorio (aree urbane ed industriali con relative infrastrutture) che spesso non ha tenuto conto dell’impatto ambientale prodotto soprattutto sul suolo, con conseguente innesco di fenomeni degradativi, nella maggior parte dei casi molto evidenti.

L’importanza della copertura vegetale nella protezione del suolo dalla degradazione è stata chiaramente riconosciuta. Il suo contributo all’apporto di sostanza organica nel suolo e, quindi all’aumento della sua fertilità biologica, è risultato particolarmente importante nelle zone aride e semi-aride, dove il contenuto di sostanza organica è spesso basso e le condizioni climatiche ne determinano la continua perdita.

La coltivazione di piante di mandorlo è risultata un approccio ambientale adatto per il miglioramento fisico, chimico e biochimico di aree semi-aride degradate nel sud dell’Italia e della Spagna (caso studio progetto LIFE ALMOND PRO-SOIL – LIFE 05-E-000288). Le piante di mandorlo principalmente hanno influenzato le proprietà del suolo attraverso l’attivazione del ciclo biogeochimico dei nutrienti C, N e P e la stimolazione dell’attività microbica e della produzione degli enzimi idrolitici. Inoltre, la presenza delle radici ha aumentato la stabilità del terreno, riducendone l’erosività. Risultati simili sono stati ottenuti con altre specie vegetali, quali L. leucocephala e C. citriodora. Questi risultati possono essere, in parte, attribuiti a una quantità crescente di C organico totale dei suoli con piante rispetto ai controlli senza vegetazione. Anche le specie vegetali Pinus halepensis e Pistacia lentiscus hanno mostrato la capacità di migliorare le proprietà chimiche, fisiche e biologiche di suoli degradati in tre diverse aree pedoclimatiche (sud e nord dell’Italia e nord est della Spagna) (caso studio progetto LIFE BIOREM – LIFE11 ENV/IT/113).

 

Recuperare la fertilità

In suoli molto poveri di sostanza organica, il recupero della fertilità richiede l’aggiunta di sostanza organica esogena in modo da favorire lo sviluppo della vegetazione spontanea e l’adattamento delle piante selezionate. Alcune ricerche hanno osservato la migliore colonizzazione e crescita delle piante in terreni acidi semi-aridi a seguito dell’incorporazione di ammendanti organici. Gli autori hanno spiegato tale effetto con l’alcalinizzazione del suolo e l’aumento del contenuto di nutrienti. Un’altra interessante caratteristica del trattamento con materiale organico per lo sviluppo di copertura vegetale è che tali ammendanti riducono la densità apparente e aumentano la capacità del suolo di trattenere l’acqua (da 1,2 volte per i fanghi a 1,4 volte per il compost).

La rivegetazione rappresenta anche il sistema migliore per aumentare il sequestro di C in suoli agricoli degradati in Europa. Questo è supportato dai risultati di numerose pubblicazioni riguardanti la riconversione dei suoli agricoli a foresta secondaria. In suoli agricoli nel sud della Germania, l’adozione di un sistema di coltivazione non intensivo ha provocato, rispetto ai sistemi di agricoltura convenzionale, una notevole stimolazione del potenziale metabolico (attività deidrogenasi/carbonio idrosolubile) ed un aumento del carbonio umico e dell’attività degli enzimi idrolitici ad esso associati (caso studio progetto INDEX – STREP n. 505450).

Numerosi studi si propongono di individuare e diffondere nuove soluzioni adatte a migliorare la protezione e la gestione del suolo. Tra questi, il progetto LIFE ZEOWINE (LIFE17 ENV/IT/427) ha realizzato un nuovo ammendante per incrementare la fertilità dei suoli nel settore vitivinicolo. Tale fertilizzante è stato ottenuto combinando le proprietà della zeolite, il cui utilizzo nel recupero dei suoli e degli ambienti contaminati e degradati presenta ottime potenzialità in molti settori oltre che in agricoltura, con la sostanza organica stabile di un compost ottenuto su scala aziendale dal riutilizzo degli scarti di lavorazione delle uve, vinacce e raspi. I risultati attesi dell’applicazione di tale prodotto ai terreni vitati sono relativi al miglioramento complessivo della qualità dei suoli in termini di contenuto in sostanza organica, biodiversità, miglioramento delle condizioni idriche e strutturali, alla riduzione del contenuto in rame biodisponibile e dell’impatto totale delle emissioni di gas serra, ma anche all’incremento della qualità delle uve e dello stato di equilibrio fisiologico delle viti.

L’inerbimento migliora le proprietà del suolo dell’oliveto

PESCIA

Di Giovanni Caruso e Riccardo Gucci.

La presenza di un prato permanente nell’oliveto protegge il suolo dai fenomeni erosivi, aumenta la capacità di conservazione dell’acqua e mantiene la fertilità. Insomma è una pratica utile per oliveti in produzione.

Ancora oggi la pratica più comune di gestione del suolo negli oliveti è la lavorazione periodica, tipicamente un’erpicatura o fresatura, che elimina le infestanti e consente di ridurre l’evaporazione dell’acqua del suolo, aumentando la rugosità della superficie. Tuttavia, la lavorazione convenzionale comporta molti effetti indesiderati sulle proprietà fisiche, chimiche e biologiche del suolo e ne può peggiorare la struttura e fertilità.

L’uso di coperture vegetali è attualmente consigliato per proteggere il suolo nella gestione dell’oliveto, così come avviene anche in altre tipologie di frutteto. La presenza di una copertura viva non solo ha effetti benefici sulle proprietà del suolo, ma determina anche una migliore fertilità biochimica e maggiore biomassa e diversità microbica rispetto ai terreni lavorati. L’inerbimento permanente diminuisce l’erosione e la compattazione ed aumenta l’infiltrazione dell’acqua e l’accumulo di sostanza organica nel profilo. Tuttavia, un prato permanente su tutta la superficie del terreno compete con le radici degli alberi per l’acqua ed elementi nutritivi e può ridurre la crescita e la produttività degli alberi.

Inerbimento o lavorazione?

Il bilancio tra gli effetti benefici dell’inerbimento e quelli di competizione con la coltura può essere valutato solo sul lungo termine, pertanto gli studi di comparazione dei due sistemi di gestione del terreno, inerbimento e lavorazione, richiedono molti anni di sperimentazione. Tale tipo di sperimentazione è stata condotta in un oliveto (Olea europaea L. cv. Frantoio) ad alta densità (513 alberi/ha) piantato nel 2003 presso i campi sperimentali dell’Università di Pisa (Venturina, LI), dove sono state confrontate due tesi: LP, lavorazione periodica superficiale con erpice a coltelli; IP, inerbimento permanente sfalciato periodicamente.

Nel primo quadriennio dall’inizio della differenziazione della gestione del suolo (dal 3° al 6° anno dall’impianto) la produzione di frutti degli alberi su suolo inerbito è stata inferiore rispetto a quella della tesi lavorata. La presenza di una copertura vegetale in competizione con lo sviluppo degli alberi ha ridotto il volume della chioma nella tesi inerbita e, conseguentemente, anche il numero di frutti portati dagli alberi. Tuttavia, l’efficienza produttiva, cioè la produzione ad albero rapportata alle sue dimensioni (espressa come area della sezione trasversale del fusto), non è stata diversa tra le due tesi di gestione del suolo. In particolare, gli alberi della tesi inerbita hanno presentato un’efficienza produttiva compresa tra l’80 e il 120% rispetto a quella della tesi sottoposta a lavorazione periodica. Inoltre, sono state osservate differenze sui frutti degli alberi su suolo lavorato che avevano minori dimensioni e un leggero ritardo di maturazione rispetto ai frutti degli alberi della tesi inerbita. Per quanto concerne la qualità dell’olio non sono state riscontrate differenze significative tra le due tesi per l’acidità libera, il numero di perossidi, le costanti spettrofotometriche degli oli prodotti, e le concentrazioni di polifenoli totali e orto-difenoli.

Le consociazioni, una necessità ambientale ed economica

consaciazione olivi e polli

Oggi assistiamo ad una nuova tendenza rispetto alla specializzazione colturale protagonista dell’ultimo secolo. Il recupero delle tecniche di consociazione e dell’utilizzo foraggero dell’oliveto rispondono alle nuove esigenze ambientali e di reddito.

La coltivazione dell’olivo è antichissima e sin dall’inizio gli olivi erano consociati ai seminativi e al pascolo. La consociazione, permettendo di produrre più alimenti e materiali dallo stesso terreno, rispondeva meglio della coltura specializzata alle esigenze dell’agricoltore, rivolte per lo più all’autosufficienza. Per questo la consociazione è rimasta prevalente per millenni, sino al secolo scorso.

Nel secolo scorso, però, l’agricoltura è cambiata tanto radicalmente quanto velocemente, sia dal punto di vista tecnico che socio-economico, con calo degli addetti in agricoltura e produzione sempre più rivolta al mercato e non più all’autoconsumo. Anche l’oliveto si è specializzato sempre di più e questo trend è cresciuto velocemente fino ad oggi. Ci sono però ragioni per ritenere che questo trend possa cominciare ad invertirsi.

Consociazione e utilizzo foraggero

Polli nell’oliveto: concimando e diserbando naturalmente, riducono l’impatto ambientale della coltivazione dell’olivo.

La consociazione dell’oliveto con altre colture e/o allevamenti può portare a produrre di più con meno risorse, se queste diverse produzioni sono complementari tra loro in termini di uso delle risorse naturali. Naturalmente non tutte le consociazioni sono possibili o convenienti e vanno studiate consociazioni compatibili dal punto di vista tecnico, così come dal punto di vista ambientale ed economico. Non si possono semplicemente ripescare le pratiche del passato. È difficile immaginare che si torni a coltivare il grano nell’oliveto: la competizione tra le due colture sarebbe troppo forte con i sesti di impianto dei moderni oliveti e non ci sarebbe spazio sufficiente per la mietitrebbia. Vanno studiate nuove forme di consociazione compatibili con i moderni oliveti, con le attuali possibilità di mercato e con le condizioni socio-economiche correnti […].

L’utilizzo di vegetazione, spontanea o coltivata, come foraggio, calibrando lo sfalcio anche in funzione dell’andamento stagionale, potrebbe ridurre il problema della competizione per l’acqua. L’utilizzo foraggero dell’oliveto, quindi, è probabilmente una delle pratiche più promettenti. Tanto più che gli erbivori in genere (ovini, caprini, bovini, ma anche equini e conigli) appetiscono non solo l’erba che cresce nell’oliveto, ma anche foglie e rametti provenienti dalla potatura, oltre che la sansa esausta e denocciolata.