Come aumentare la sostanza organica nell’oliveto

Risultati di una ricerca volta a valutare gli effetti di due diverse modalità di gestione dell’oliveto, finalizzate alla conservazione o al reintegro della sostanza organica (s.o.) nel terreno. 

La prima basata sull’adozione di tecniche conservative alternative alle lavorazioni: un sistema di gestione sostenibile (inerbimento spontaneo, trinciatura del materiale di potatura, mulching) a confronto con quello convenzionale (lavorazioni superficiali, allontanamento del materiale di potatura). 

La seconda volta a valutare gli effetti di differenti apporti di s.o. proveniente da sottoprodotti della filiera olivicola.

Al seguente link puoi scaricare l’articolo completo:
https://www.academia.edu/18491329/Olivicoltura_sostenibile_e_gestione_del_suolo

Le alternative al rame

I metalli pesanti non sono soggetti a ulteriori degradazioni nell’ambiente, e anche il rame rientra in questa categoria. 

Questo metallo è utilizzato soprattutto in viticoltura (ma non solo) per il controllo della peronospora, ed il suo uso a dosi elevate nel tempo ne determina un progressivo accumulo all’interno del suolo con particolare riferimento ad aree a vocazione vitivinicola. 

Un agricoltore che voglia coltivare nel rispetto dell’ambiente dovrà applicare strategie e metodi di controllo per ridurre l’uso dei sali di rame, anche tramite il ricorso a sostanze alternative. 

Il rame viene impiegato in agricoltura come antifungino, ed il suo uso è autorizzato anche in agricoltura biologica. In agricoltura biodinamica il suo impiego non è consentito sulle colture orticole, ma è ammesso in frutticoltura e viticoltura in caso di necessità; rientra infatti nei prodotti ammessi solo per colture speciali e permanenti, e per piante ornamentali. Il dosaggio non dovrà comunque essere superiore ai 3 kg di rame metallo per ettaro all’anno (ogni formulato commerciale contiene una percentuale variabile di rame metallo, in base al tipo di prodotto). 

I 3 kg/ha/anno vanno calcolati nella media di un arco di tempo di 5 anni usando preferibilmente al massimo 500 gr. per ogni trattamento. Nell’arco di un quinquennio non dovranno essere superati i 15 kg/ha/anno, nel caso vi sia un’annata sfavorevole (disciplinare Demeter). Si tratta di un basso dosaggio. 

I prodotti rameici devono essere utilizzati in via preventiva, in relazione ai momenti critici determinati da temperature, umidità relativa e piovosità. Mentre per ottimizzare efficacia e quantitativi sarà opportuno utilizzare attrezzature idonee ed efficienti: occorre nebulizzare il getto in maniera adeguata per poter garantire una buona copertura della foglia (sopra e sotto) e della vegetazione.

 Durante i trattamenti sarà fondamentale evitare il punto di gocciolamento dovuto ad un accumulo eccessivo di liquido sulla foglia; questo accumulo potrà determinare la caduta a terra del liquido con conseguente spreco del prodotto, favorendo anche e soprattutto il bioaccumulo del metallo nel terreno. A tal proposito è consigliabile l’uso di appositi ugelli antideriva per effettuare i vari trattamenti. Mentre una stesura omogenea sulla foglia fornisce risultati migliori garantendo una copertura ottimale, completa ed uniforme.

Questo vale comunque per ogni tipologia di trattamento fogliare. 

Un uso eccessivo e sconsiderato di questo metallo può portare ad una serie di problematiche non indifferenti, depositandosi nei primi strati di terreno con ripercussioni negative per la vita microbica e lo sviluppo di batteri, funghi e lombrichi, determinando anche una selezione dei lieviti. Il rame è di fatto un metallo pesante ed il suo accumulo nel suolo può avere conseguenze negative, come evidenziato anche da Stefania Tegli, ricercatrice del Dipartimento di scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente dell’Università di Firenze:

Il rame che viene utilizzato come antiparassitario tende in pratica ad accumularsi nell’ambiente, in particolare nel suolo. E, dal terreno, può raggiungere e inquinare le falde acquifere, determinando gravissimi rischi ambientali ed ecotossicologici su un ampio spettro di organismi e microrganismi”. Oltre a questo inconveniente, spiega Tegli, vi è un ulteriore rischio: “Il rame determina un aumento allarmante, nella microflora degli agroecosistemi, della percentuale di batteri resistenti agli antibiotici, che finiscono col costituire una sorta di serbatoio di geni per l’antibiotico-resistenza. Questi geni sono presenti su elementi mobili del loro genoma, i plasmidi, che possono essere trasmessi con facilità anche ai batteri patogeni di uomo e animali, rendendoli così a loro volta resistenti agli antibiotici e vanificandone di fatto l’azione profilattica e terapeutica in medicina umana e veterinaria”. 

Uno dei settori maggiormente interessati è senza dubbio la viticoltura, per quanto riguarda il controllo della peronospora, nella quale il rame viene utilizzato da circa 130 anni. 

Altro problema riguarda la mancanza di vitalità e di attività biologica di molti terreni,

privi di humus e sostanza organica, i quali non sono più in grado metabolizzare e degradare eventuali molecole nocive (ovviamente sempre entro certi limiti). Questa azione di filtro e bonifica da parte del suolo è data anche dalla presenza della flora. Un terreno sano e vitale copre un ruolo ecologico molto importante, arrivando a svolgere la funzione di vero e proprio “organo”. 

Il rame è comunque un metallo pesante ed è difficile da degradare; per questo sono in corso attività di ricerca per poter individuare strategie e sostanze alternative al suo uso. Non è cosa semplice sostituire il rame poiché rimane (tra i vari rimedi ammessi in agricoltura biologica e biodinamica) quello più efficace. Non è cosa semplice, ma non impossibile. È comunque possibile limitarne i quantitativi. 

Elevate concentrazioni di rame all’interno del terreno potrebbero altresì generare fenomeni di tossicità su alcune colture, soprattutto in suoli leggeri e acidi. Questo fenomeno è quasi nullo, invece, in presenza di colloidi umici (humus) grazie al sequestro del metallo, ed anche in terreni argillosi e calcarei. In questi terreni il rame rimane bloccato grazie alla presenza di sostanza organica umificata che immobilizza il metallo. 

Rimedi

La riduzione dei quantitativi di rame si ottiene indiscutibilmente attraverso l’applicazione di una buona agronomia complessiva di base. 

Ciò è valido per tutte le colture interessate (e non). In agricoltura biodinamica vanno applicati rimedi che siano a favore degli equilibri, evitando quei rimedi pensati invece contro un problema (insetti-cida, fungi-cida, anti-parassitario ecc.), creati per eliminare, debellare, distruggere. 

La resistenza delle piante alle malattie è condizionata principalmente da fattori ambientali e agronomici. Sicuramente quello che è l’andamento climatico e stagionale può condizionare fortemente la pressione di una malattia fungina (temperature, umidità, piovosità). Anche la collocazione di un terreno ha una notevole rilevanza in questo senso (esposizione, ventosità, aerazione, luminosità). 

  1. a) Il primo elemento da considerare è senza dubbio il terreno. La qualità del suolo, la sua fertilità, la sua vitalità, la sua struttura (così come la biodiversità ipogea) sono fattori centrali per il sano sviluppo di una pianta. La capacità drenante di un terreno rappresenta un fattore determinante poiché i ristagni favoriscono le varie malattie fungine. Lo stesso inerbimento sotto questo aspetto, per quanto riguarda le colture arboree, rappresenta un vantaggio. Un efficace copertura erbacea previene il ristagno idrico (l’altezza della vegetazione dovrà rimanere bassa). Andrà dunque favorito il drenaggio. A tal proposito sono da evitare passaggi ripetuti e frequenti con macchine pesanti, soprattutto su terreno umido e bagnato. Ciò determina compattamento e asfissia con conseguenze negative per la fertilità e la vitalità del suolo. Sono da privilegiare macchine leggere utilizzate in maniera appropriata. 
  2. b) Una fertilizzazione corretta ed equilibrata favorisce la qualità della linfa delle piante, stimolando le naturali autodifese ed una buona formazione dei tessuti. Le migliori opzioni sono (da impiegare in base alle possibilità o necessità): compost biodinamico ben trasformato, sovesci plurispecie, humus di lombrico. Senza mai dimenticare i preparati biodinamici, ed in particolar modo il 501 a base di Silicio. Il Silicio stimola la formazione dell’acido ialuronico incrementando le naturali autodifese. Tramite il Silicio è auspicabile un indurimento dei tessuti vegetali con aumento della resistenza agli attacchi parassitari. Viceversa l’uso di concimazioni azotate spinte determina una eccessiva vigoria delle piante con conseguente indebolimento delle pareti cellulari, arrivando a limitare le naturali capacità di difesa. Un eccesso di vigoria può essere determinato anche da abbondante disponibilità idrica. Proprio le malattie fungine sono favorite da tessuti poco sviluppati o non lignificati correttamente (più appetibili ai patogeni). Dunque la resistenza delle pareti cellulari è determinante, e questa resistenza potrà essere garantita da un ottimale equilibrio vegeto-produttivo. Inoltre una eccessiva disponibilità di sostanze azotate (non elaborate) riduce nei vegetali la produzione di polifenoli. 
  1. c) Tramite l’applicazione di potature sensate è possibile migliorare lo stato fitosanitario della pianta. Decisivo sarà il microclima all’interno della chioma che dovrà permettere la circolazione dell’aria ed un ottimale ingresso della luce. Ombreggiamento e umidità, invece, potranno favorire la formazione di patologie. Anche il sesto d’impianto dovrà garantire una adeguata circolazione dell’aria e permettere l’ingresso della luce solare. Le potature verdi possono offrire ottimi vantaggi, così come un corretto diradamento. 
  2. d) Sarà necessario utilizzare Varietà e Cultivar idonee al clima e all’ambiente di coltivazione. 

Per quanto riguarda le sostanze alternative al rame (che possono permettere di ridurne i dosaggi) è possibile utilizzare vari rimedi. Di seguito alcuni di questi. 

Bentotamnio (500-600 grammi per ettolitro).

È un prodotto a granulometria fine (polvere) costituito da bentonite, alghe litotamnio e farina di roccia potassica. Si tratta di un corroborante potenziatore delle difese naturali dei vegetali. La bentonite è un’argilla di origine vulcanica costituita principalmente da Ossido di Silicio, Alluminio (fillosilicati) e da micronutrienti naturali. Mentre le alghe litotamnio apportano Carbonato di calcio, Magnesio e numerosi microelementi di origine marina. Oltre a migliorare lo sviluppo dei vegetali il bentotamnio crea una barriera protettiva sulla superficie fogliare utile nella prevenzione di crittogame e fitofagi. 

Pròpoli

Per uso agricolo di qualità. L’efficacia e la validità della Pròpoli dipende dalla sua qualità. 

Decotto di Equiseto (Equisetum arvense).

Grazie al contenuto di Silicio e sali solforici rinforza la pianta e previene le micosi. Eventualmente utilizzare Equiseto raccolto nel proprio territorio nel mese di giugno; è possibile conservare tramite essiccazione. Lo si può miscelare insieme ad altri componenti come microrganismi naturali, zeolite e caolino in modo da creare valide sinergie ed esaltarne le caratteristiche. 

Estratto di alghe Laminaria digitata (Laminarina). 

Tra i vari estratti vegetali quello di Laminaria sta dando i risultati più incoraggianti. Si tratta di induttori naturali di sistemi di difesa, in grado di favorire la resistenza delle piante contro avversità di natura biotica e abiotica. Le Alghe Brune sono ricche di sostanze attive, e vengono impiegate da secoli in agricoltura per via delle loro proprietà. 

La composizione ricca e complessa le rende ottime alleate delle piante, non solo per l’apporto di elementi nutritivi: grazie a diversi meccanismi d’azione influiscono positivamente sulle attività di sviluppo dei vegetali. L’uso delle Alghe Brune migliora la capacità delle piante di resistere agli stress agendo da biostimolante. Viene stimolata la produzione di fitoalessine (metaboliti antimicrobici) a vantaggio delle difese naturali. Tra i generi più importanti figurano Laminaria, Macrocystis e Ascophyllum. A seconda delle diverse colture può variare epoca e dose di applicazione. Possono offrire benefici in occasione dei “momenti chiave” nella formazione e nello sviluppo di una coltura (trapianto, ripresa vegetativa, pre-fioritura, allegagione, post-allegagione, ingrossamento frutti, invaiatura, post-raccolta). Ovviamente saranno da valutare le reali esigenze e le necessità della singola coltura, evitando interventi non necessari. 

Zeolitite (chabasite).

Questo minerale è in grado di creare una valida barriera protettiva sulla superficie del vegetale in modo da prevenire gli attacchi fungini. Il formulato in polvere micronizzata si usa in dose di 5-6 kg per ettaro in acqua (solitamente 500 lt/ha). Il quantitativo di acqua varia in base all’efficienza degli irroratori. La sua efficacia diviene maggiore in sinergia con altri componenti come l’estratto concentrato dei semi di Pompelmo e microrganismi naturali (tipo EM). Applicazioni preventive e ripetute ogni 3 settimane circa, anche in base all’andamento climatico. 

Caolino.

Grazie alla sua singolare conformazione, anche questa polvere minerale svolge un’azione antagonista sullo sviluppo delle patologie fungine. I dosaggi variano dai 2,5 ai 4 kg per ettolitro. Il volume per ettaro varia sulla base della densità fogliare in funzione delle dimensioni della coltura, e dipende anche da caratteristiche ed efficienza degli irroratori. 

Le applicazione andranno fatte in via preventiva e ripetute ogni 20 giorni circa durante tutto il periodo critico in modo da garantire la migliore copertura della vegetazione. Il suo impiego risulta ancor più efficiente in combinazione con decotto di Equiseto ed estratto concentrato di semi di Pompelmo. Per quest’ultimo sarà da valutare la compatibilità dei vari formulati commerciali (2,5-3 kg di caolino per 100 litri). 

Silicato di potassio

Potrebbe essere utilizzato anche il silicato di potassio (formulato conforme ai Regolamenti per l’Agricoltura Biologica). Al massimo 2 kg per ettolitro. 

Oli essenziali (sperimentale).

Tra cui olio essenziale di limone e olio essenziale di pompelmo. È importante utilizzare oli essenziali di qualità e di provenienza garantita (da agricoltura biologica o biodinamica). 

Semi di Pompelmo.

Risulta particolarmente valido l’estratto concentrato dei semi di Pompelmo (da non confondere con l’olio essenziale) che può essere utilizzato da solo oppure in miscela con altri componenti come zeolitite e microrganismi naturali. Oppure insieme ad altri estratti vegetali. 

Microrganismi

Sono in corso anche attività di ricerca per testare l’efficacia di vari microrganismi naturali e consorzi microbiologici per inibire lo sviluppo di funghi patogeni tramite l’attivazione delle autodifese oppure tramite un’azione antagonista diretta nei confronti del patogeno. 

Tutti questi rimedi andranno utilizzati in via preventiva garantendo la copertura durante i momenti critici. 

Bicarbonato di potassio (dai 500 agli 800 grammi per ettolitro).

Ha un’azione preventiva sullo sviluppo delle spore fungine. Va evitato l’uso ripetuto durante la stagione estiva. 

Latte.

In zone favorevoli alla viticoltura vi sono agricoltori che impiegano il latte con ottimi risultati sul controllo della peronospora. Si tratterà di utilizzare latte fresco appena munto di provenienza biologica o biodinamica. La condizione dell’animale sarà fondamentale (benessere, stato di salute, corretta nutrizione, assenza di antibiotici e farmaci etc.). Indicativamente occorrono 10 litri di latte per 200 litri d’acqua ad ettaro. Il latte ovviamente non dovrà subire pastorizzazione. 

Omeopatia.

Altra via percorribile come alternativa al rame, o per ridurne i dosaggi, potrebbe essere quella dell’omeopatia applicata all’agricoltura. Le prime esperienze in Italia relative all’applicazione dell’omeopatia per la cura delle piante risalgono al 1984, grazie al Dr. Luca Speciani, presso la Facoltà di Agraria di Milano. Dal 2001 ha dato inizio a queste ricerche anche la Professoressa Lucietta Betti presso la Facoltà di Agraria di Bologna; in questo studio sono stati osservati effetti significativi. Si tratta tuttavia ancora di un approccio sperimentale ma comunque di notevole rilievo (agro-omeopatia). 

Altre esperienze a livello internazionale sono quelle dell’omeopata olandese V.D. Kaviraj in Australia e in India oppure del Prof. Radko Tichavsky. Ma un contributo essenziale per la nascita e lo sviluppo di questa disciplina fu quello di Eugene e Lilly Kolisko. 

Cornosilice-zolfo, Cornoargilla, Cornosilice-equiseto.

È possibile impiegare anche alcuni preparati di nuova generazione i quali svolgono un’azione corroborante nei confronti della pianta. Questi nuovi preparati non sostituiscono quelli tradizionali: si tratta di Cornosilice-zolfo, Cornoargilla, Cornosilice-equiseto. Il primo stimola la formazione di proteine complesse, zuccheri e polifenoli, mentre il Cornoargilla favorisce l’equilibrio complessivo della pianta nel suo rapporto con il suolo a favore dell’equilibrio vegeto-produttivo. Ciò permette di resistere meglio a diverse forme di stress, stimolando i processi vitali, a vantaggio delle difese naturali. Il Cornosilice-equiseto svolge un’azione di contenimento nei confronti di alcuni funghi patogeni del suolo. Quest’ultimo preparato, grazie al Silicio, migliora la condizione dei tessuti vegetali con particolare riferimento alla cuticola. La cuticola, grazie alle cere da cui è costituita, svolge principalmente una funzione protettiva ed il suo spessore può variare in base al clima e alle pratiche agronomiche. 

Il rispetto dei punti sopra citati (a, b, c, d) è determinante al fine di garantire l’efficacia di questi preparati, che andranno utilizzati correttamente e al momento opportuno (in base a tipo di coltura, fase fenologica e andamento stagionale). La prevenzione rappresenta una priorità. 

I vari rimedi andranno altresì impiegati preventivamente sulla comparsa delle micosi anticipando i momenti critici. A tal proposito si rende fondamentale il monitoraggio dei parametri ambientali e climatici. 

 

Una malattia è considerata una deviazione dallo stato di armonia nello svolgimento delle funzioni vitali dell’organismo” Goidànich (1955) 

L’agricoltore ha il compito di badare a che il processo naturale si svolga nel giusto modo

Steiner (1924) 

Silicio.

Rudolf Steiner già nel 1924 suggerì l’uso del Silicio nella sua forma minerale (quarzo, ortoclasi, feldspati) e nella sua forma organica (Equisetum arvense, detto anche Equiseto o Coda cavallina) per via delle caratteristiche uniche. È presente naturalmente nelle argille e nelle sabbie, ed è uno degli elementi più abbondanti sulla crosta terrestre. Goethe, in merito alle sue proprietà, lo definì “luce condensata”. Non a caso è utilizzato nella realizzazione della fibra ottica, nei pannelli fotovoltaici e nei circuiti elettronici. Si tratta di un elemento che ha una notevole affinità con le forze della luce. 

Sempre Steiner lo definì anche “l’architetto della luce” per la capacità di ottimizzare la gestione della luce da parte dei vegetali. Consigliò l’uso del preparato 501 per garantire ai vegetali un armonico sviluppo delle parti aeree, una buona maturazione dei frutti e la prevenzione delle malattie fungine (il 501 è polare al preparato 500 che invece agisce sul terreno e sull’apparato radicale). 

Solo in epoca recente, però, la ricerca agronomica ha evidenziato i molteplici ruoli svolti da questo elemento nelle sue varie forme, soprattutto per quanto riguarda la formazione dell’epidermide e la costituzione dei tessuti vegetali. Un’epidermide omogenea e ben strutturata funge da barriera protettiva nei confronti dei patogeni.

Vi sono numerose prove che dimostrano come il Silicio possa limitare gli effetti negativi di svariati stress di natura biotica e abiotica (Epstein, 1994; Liang et al., 1996; Epstein, 1999; Liang et al., 1999; Liang & Ding, 2002; Ma, 2004). Lo stesso Silicio può fungere da “barriera meccanica” protettiva (Cheng et al, 1989). 

Si assiste inoltre ad un generale miglioramento delle qualità organolettiche

Si riportano anche alcuni dati relativi all’incontro “Siliforce day” – Silicio: qualità nelle produzioni agricole (Bologna, 24 marzo 2009). Alessandra Trinchera, CRA-RPS Roma. 

– Il Silicio migliora la “struttura” delle fibre vegetali. 

– Il Silicio sembra prevenire diverse carenze nutrizionali e limitare la tossicità di alcuni metalli. 

– Spray fogliari a base di Silicio hanno portato benefici in termini di riduzione delle parassitosi su colture in campo. 

– Il Silicio può essere accumulato dalla pianta nel sito di infezione da funghi, al fine di combattere la penetrazione della parete cellulare da parte del fungo attaccante. 

– Incrementa la qualità, la conservabilità e la resistenza al danneggiamento delle produzioni. 

(Sonobe et al., 2009; Coté-Beliaeu et al., 2009) 

Fabio Fioravanti

Il fabbisogno in freddo dell’olivo.

Il fabbisogno in freddo è un aspetto fondamentale per tutti gli alberi da frutto, che regolano il loro ciclo vitale in base alle temperature.

È fondamentale che durante l’inverno le temperature siano sufficientemente fredde per soddisfare l’esigenze delle piante.
Ovviamente non tutti gli alberi da frutto hanno lo stesso fabbisogno in freddo e vi possono essere delle notevoli differenze tra le diverse varietà di una stessa cultivar, pensiamo all’Italia e alle notevoli deifferenze climatiche da nord a sud.

Dormienza delle gemme.

Per capire cosa s’intende per fabbisogno in freddo, dobbiamo parlare della dormienza delle gemme.
La gemma è situata all’ascella delle foglie, tra il picciolo fogliare e l’asse del germoglio, in corrispondenza del nodo. Regola la crescita, la forma, la fioritura e la fruttificazione delle piante. Dopo il riposo vegetativo dalle gemme riparte il ciclo stagionale dell’albero.

Il funzionamento delle gemme è regolato da un meccanismo fisiologico denominato dormienza. Questo meccanismo difende la gemma dal freddo invernale.
Le gemme si formano nel periodo estivo e quando arriva il freddo s’instaura la dormienza, che ne impedisce l’allungamento.

La gemma, che durante l’inverno è detta dormiente, per risvegliarsi e riacquistare la capacità di germogliare, ha bisogno di un determinato periodo di freddo.
Questo fabbisogno in freddo è diverso per ogni specie o varietà di albero di frutto.
Viene considerato “freddo” un periodo con un range di temperature compreso tra i 14 °C e gli 0 °C, con una temperatura ottimale di 7 °C.
Il germogliamento della gemma dormiente avviene solo se è stato accumulato un certo numero di ore di freddo.

Normalmente il fabbisogno in freddo viene soddisfatto nella maggior parte delle regioni italiane, soprattutto quelle centro-settentrionali. Dei problemi si possono avere nelle regioni più a sud, con inverni molto miti. In queste regioni bisogna stare molto attenti a scegliere varietà di olivi che non abbiano un elevato fabbisogno di temperature rigide, normalmente le cultivar autoctone; viceversa coltivare specie adatte a zone calde in aree più fredde espone al rischio inverso, ovvero quello di esporre i fiori e la vegetazione ai possibili ritorni di freddo.

Cosa succede quando non viene soddisfatto il fabbisogno in freddo?

Sintetizzando possiamo dire che la pianta entra in uno stato di confusione, ovvero non riesce più a percepire l’arrivo della primavera, giacché non ha vissuto un periodo abbastanza freddo.
Nelle gemme questo si traduce in un anomalo prolungamento della fase di dormienza ed un ritardo della ripresa vegetativa.
Le conseguenze possono essere una cascola anomala delle gemme, una fioritura scalare e povera, un’insufficiente allegagione dei fiori.

Il totale di ore di freddo per ogni albero da frutto si esprime in unità di freddo, corrispondenti ad un’ora a 7 °C. L’olivo, a seconda dell’area di provenienza, quindi della cultivar, ha un fabbisogno di freddo che va dalle 100 alle 250 ore.

Fonti:

Various model of calculating of chill units in fruits crops – ResearchGate 

About Chilling Hours,Units & Portions – Department of Plant Sciences | UC Davis | College of Agricultural and Environmental Sciences

Link utili

La gestione di fitofagi e patogeni

mosca olearia su oliva

In queste presentazioni troverai due interventi del professor Bagnoli sulla gestione di fitofagi e patogeni.

Il primo pdf si concentra su insetti e patologie che influenzano la produttività e sulle strategie e tecnologie innovative per un controllo efficace e sostenibile.

Nel secondo pdf troverai invece un approfondimento sulla mosca dell’olivo.

La biodiversità dell’olivo e le strategie di sostenibilità.

Estratto dell’intervento al seminario BIODIVERSITA’ DELL’OLIVO, 14 ottobre 2020, a cura del dott. CLAUDIO CANTINI, tecnologo IBE CNR Santa Paolina, Follonica.

Biodiversità in generale e dell’olivo

Il termine “biodiversità” è divenuto di uso comune dopo il vertice sulla terra tenuto a Rio de Janeiro nel lontano 1992. In quella occasione fu stabilita una strategia globale di “sviluppo sostenibile” adatta a soddisfare le nostre esigenze garantendo nel contempo un mondo sano e vitale da lasciare alle generazioni future e fu firmata la Convenzione sulla diversità biologica (CBD). Obiettivi degli accordi sottoscritti dagli Stati firmatari: la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile di questa, la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche.

 Il ruolo dell’agricoltura nella società, in quanto settore primario, è quello di fornire la disponibilità di prodotti alimentari sani, sicuri e diversificati ma a questo si accompagnano la tutela ambientale e paesaggistica, la conservazione della fertilità del suolo, il contrasto ai cambiamenti climatici, la produzione di energia rinnovabile, il presidio economico e occupazionale delle aree rurali.

Partendo da questi presupposti occorre affrontare il tema della biodiversità olivicola e del suo uso percependo una visione globale delle varie problematiche. Verranno fornite ai partecipanti diverse chiavi di lettura relative alle scelte complessive da fare in azienda prendendo in esame le attuali direzioni del comparto agroalimentare.

Un “mare” di varietà, un “mare” di regole, un “mare” di vincoli: come navigare senza farlo a vista

La scarsa propensione all’innovazione del settore olivicolo ha fatto sì che per decenni sia stata perseguito uno scarso rinnovo degli impianti, effettuato per lo più con varietà “antiche” o ben collaudate facendo trascurare sia numerose varietà locali, così esposte al rischio di estinzione, che ottime varietà riconosciute per le loro qualità.

La presenza di forti vincoli imposti da disciplinari di produzione (DOP, IGP) non ha aiutato il rinnovamento anzi ha “ingessato” da un certo punto di vista la situazione in una statica fotografia del territorio. Alcune varietà rappresentano in realtà un problema perché, sebbene tipiche e tradizionali, presentano caratteristiche svantaggiose per una moderna olivicoltura da reddito e non da “sopravvivenza”. 

Negli ultimi decenni sono state infine proposte nuove forme di olivicoltura intensiva o super intensiva con l’idea di rinnovare il comparto e renderlo più competitivo e produttivo basate su alcune varietà a bassa vigoria.

Per l’imprenditore agricolo si pone quindi il dilemma di quale olivicoltura adottare: andare incontro alla massima modernità, cambiare tutto introducendo nuove cultivar oppure utilizzare il germoplasma locale? La Toscana in questo rappresenta una Regione all’avanguardia in materia: a partire dal 1997 ha messo in funzione un sistema di tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario (attuale legge regionale 64/04). Molte sono le varietà olivicole iscritte al Repertorio regionale, legate alle tradizioni produttive e storiche locali, espressione del patrimonio culturale agrario del nostro territorio. 

Identificazione delle varietà in campo ed esame delle caratteristiche morfologiche

Riconoscere le varietà di olivo non è semplice perché a livello morfologico molti caratteri sono poco differenziati. Alcune piante hanno delle peculiarità che le rendono facilmente distinguibili; per molte altre solo una grande esperienza rende possibile un’identificazione e la certezza viene soltanto da un’analisi effettuata in laboratorio indirizzata all’esame del DNA, ovvero la componente genetica molto più stabile rispetto alla morfologica, invece influenzata dalle variabili ambientali.

Biodiversità olivicola e vivaismo

Una delle problematiche che l’imprenditore deve affrontare in seguito alla scelta varietale è anche quella dell’acquisto delle piante. Il settore vivaistico, come tutto il resto del comparto olivicolo, si muove con lentezza ed è molto conservativo salvo poi inseguire le mode del momento che di volta in volta lanciano questa o quella varietà. Come districarsi nell’offerta delle piante e come davvero andare a scegliere varietà, sistema di produzione della pianta età e quale certificazione richiedere? Quali devono essere davvero le scelte in termini di numero di varietà diverse da inserire nell’impianto, ed esistono davvero varietà impollinatrici che possono essere utilizzate con miglioramento effettivo della produttività dell’oliveto? Quali varietà impollinatrici scegliere in funzione dell’ambiente di coltivazione? Queste le tematiche da affrontare dove la pluviometria rappresenta uno dei punti da valutare con attenzione.

Le consociazioni, una necessità ambientale ed economica

consaciazione olivi e polli

Oggi assistiamo ad una nuova tendenza rispetto alla specializzazione colturale protagonista dell’ultimo secolo. Il recupero delle tecniche di consociazione e dell’utilizzo foraggero dell’oliveto rispondono alle nuove esigenze ambientali e di reddito.

La coltivazione dell’olivo è antichissima e sin dall’inizio gli olivi erano consociati ai seminativi e al pascolo. La consociazione, permettendo di produrre più alimenti e materiali dallo stesso terreno, rispondeva meglio della coltura specializzata alle esigenze dell’agricoltore, rivolte per lo più all’autosufficienza. Per questo la consociazione è rimasta prevalente per millenni, sino al secolo scorso.

Nel secolo scorso, però, l’agricoltura è cambiata tanto radicalmente quanto velocemente, sia dal punto di vista tecnico che socio-economico, con calo degli addetti in agricoltura e produzione sempre più rivolta al mercato e non più all’autoconsumo. Anche l’oliveto si è specializzato sempre di più e questo trend è cresciuto velocemente fino ad oggi. Ci sono però ragioni per ritenere che questo trend possa cominciare ad invertirsi.

Consociazione e utilizzo foraggero

Polli nell’oliveto: concimando e diserbando naturalmente, riducono l’impatto ambientale della coltivazione dell’olivo.

La consociazione dell’oliveto con altre colture e/o allevamenti può portare a produrre di più con meno risorse, se queste diverse produzioni sono complementari tra loro in termini di uso delle risorse naturali. Naturalmente non tutte le consociazioni sono possibili o convenienti e vanno studiate consociazioni compatibili dal punto di vista tecnico, così come dal punto di vista ambientale ed economico. Non si possono semplicemente ripescare le pratiche del passato. È difficile immaginare che si torni a coltivare il grano nell’oliveto: la competizione tra le due colture sarebbe troppo forte con i sesti di impianto dei moderni oliveti e non ci sarebbe spazio sufficiente per la mietitrebbia. Vanno studiate nuove forme di consociazione compatibili con i moderni oliveti, con le attuali possibilità di mercato e con le condizioni socio-economiche correnti […].

L’utilizzo di vegetazione, spontanea o coltivata, come foraggio, calibrando lo sfalcio anche in funzione dell’andamento stagionale, potrebbe ridurre il problema della competizione per l’acqua. L’utilizzo foraggero dell’oliveto, quindi, è probabilmente una delle pratiche più promettenti. Tanto più che gli erbivori in genere (ovini, caprini, bovini, ma anche equini e conigli) appetiscono non solo l’erba che cresce nell’oliveto, ma anche foglie e rametti provenienti dalla potatura, oltre che la sansa esausta e denocciolata.