Le tecniche colturali a basso impatto ambientale permettono una gestione oculata dell’oliveto e un notevole sequestro di anidride carbonica mentre la conduzione convenzionale è fonte di emissioni.
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Le alternative al rame
Il fabbisogno in freddo dell’olivo.
Il fabbisogno in freddo è un aspetto fondamentale per tutti gli alberi da frutto, che regolano il loro ciclo vitale in base alle temperature.
È fondamentale che durante l’inverno le temperature siano sufficientemente fredde per soddisfare l’esigenze delle piante.
Ovviamente non tutti gli alberi da frutto hanno lo stesso fabbisogno in freddo e vi possono essere delle notevoli differenze tra le diverse varietà di una stessa cultivar, pensiamo all’Italia e alle notevoli deifferenze climatiche da nord a sud.
Dormienza delle gemme.
Per capire cosa s’intende per fabbisogno in freddo, dobbiamo parlare della dormienza delle gemme.
La gemma è situata all’ascella delle foglie, tra il picciolo fogliare e l’asse del germoglio, in corrispondenza del nodo. Regola la crescita, la forma, la fioritura e la fruttificazione delle piante. Dopo il riposo vegetativo dalle gemme riparte il ciclo stagionale dell’albero.
Il funzionamento delle gemme è regolato da un meccanismo fisiologico denominato dormienza. Questo meccanismo difende la gemma dal freddo invernale.
Le gemme si formano nel periodo estivo e quando arriva il freddo s’instaura la dormienza, che ne impedisce l’allungamento.
La gemma, che durante l’inverno è detta dormiente, per risvegliarsi e riacquistare la capacità di germogliare, ha bisogno di un determinato periodo di freddo.
Questo fabbisogno in freddo è diverso per ogni specie o varietà di albero di frutto.
Viene considerato “freddo” un periodo con un range di temperature compreso tra i 14 °C e gli 0 °C, con una temperatura ottimale di 7 °C.
Il germogliamento della gemma dormiente avviene solo se è stato accumulato un certo numero di ore di freddo.
Normalmente il fabbisogno in freddo viene soddisfatto nella maggior parte delle regioni italiane, soprattutto quelle centro-settentrionali. Dei problemi si possono avere nelle regioni più a sud, con inverni molto miti. In queste regioni bisogna stare molto attenti a scegliere varietà di olivi che non abbiano un elevato fabbisogno di temperature rigide, normalmente le cultivar autoctone; viceversa coltivare specie adatte a zone calde in aree più fredde espone al rischio inverso, ovvero quello di esporre i fiori e la vegetazione ai possibili ritorni di freddo.
Cosa succede quando non viene soddisfatto il fabbisogno in freddo?
Sintetizzando possiamo dire che la pianta entra in uno stato di confusione, ovvero non riesce più a percepire l’arrivo della primavera, giacché non ha vissuto un periodo abbastanza freddo.
Nelle gemme questo si traduce in un anomalo prolungamento della fase di dormienza ed un ritardo della ripresa vegetativa.
Le conseguenze possono essere una cascola anomala delle gemme, una fioritura scalare e povera, un’insufficiente allegagione dei fiori.
Il totale di ore di freddo per ogni albero da frutto si esprime in unità di freddo, corrispondenti ad un’ora a 7 °C. L’olivo, a seconda dell’area di provenienza, quindi della cultivar, ha un fabbisogno di freddo che va dalle 100 alle 250 ore.
Fonti:
Various model of calculating of chill units in fruits crops – ResearchGate
About Chilling Hours,Units & Portions – Department of Plant Sciences | UC Davis | College of Agricultural and Environmental Sciences
Link utili
La gestione di fitofagi e patogeni
Gli stadi fenologici dell’olivo
In questo pdf sono esposti sinteticamente gli stadi della crescita della pianta di olivo.
Le varie cultivar
La biodiversità dell’olivo e le strategie di sostenibilità.
Le consociazioni, una necessità ambientale ed economica
Oggi assistiamo ad una nuova tendenza rispetto alla specializzazione colturale protagonista dell’ultimo secolo. Il recupero delle tecniche di consociazione e dell’utilizzo foraggero dell’oliveto rispondono alle nuove esigenze ambientali e di reddito.
La coltivazione dell’olivo è antichissima e sin dall’inizio gli olivi erano consociati ai seminativi e al pascolo. La consociazione, permettendo di produrre più alimenti e materiali dallo stesso terreno, rispondeva meglio della coltura specializzata alle esigenze dell’agricoltore, rivolte per lo più all’autosufficienza. Per questo la consociazione è rimasta prevalente per millenni, sino al secolo scorso.
Nel secolo scorso, però, l’agricoltura è cambiata tanto radicalmente quanto velocemente, sia dal punto di vista tecnico che socio-economico, con calo degli addetti in agricoltura e produzione sempre più rivolta al mercato e non più all’autoconsumo. Anche l’oliveto si è specializzato sempre di più e questo trend è cresciuto velocemente fino ad oggi. Ci sono però ragioni per ritenere che questo trend possa cominciare ad invertirsi.
Consociazione e utilizzo foraggero
Polli nell’oliveto: concimando e diserbando naturalmente, riducono l’impatto ambientale della coltivazione dell’olivo.
La consociazione dell’oliveto con altre colture e/o allevamenti può portare a produrre di più con meno risorse, se queste diverse produzioni sono complementari tra loro in termini di uso delle risorse naturali. Naturalmente non tutte le consociazioni sono possibili o convenienti e vanno studiate consociazioni compatibili dal punto di vista tecnico, così come dal punto di vista ambientale ed economico. Non si possono semplicemente ripescare le pratiche del passato. È difficile immaginare che si torni a coltivare il grano nell’oliveto: la competizione tra le due colture sarebbe troppo forte con i sesti di impianto dei moderni oliveti e non ci sarebbe spazio sufficiente per la mietitrebbia. Vanno studiate nuove forme di consociazione compatibili con i moderni oliveti, con le attuali possibilità di mercato e con le condizioni socio-economiche correnti […].
L’utilizzo di vegetazione, spontanea o coltivata, come foraggio, calibrando lo sfalcio anche in funzione dell’andamento stagionale, potrebbe ridurre il problema della competizione per l’acqua. L’utilizzo foraggero dell’oliveto, quindi, è probabilmente una delle pratiche più promettenti. Tanto più che gli erbivori in genere (ovini, caprini, bovini, ma anche equini e conigli) appetiscono non solo l’erba che cresce nell’oliveto, ma anche foglie e rametti provenienti dalla potatura, oltre che la sansa esausta e denocciolata.